Abruzzo. Prima di quel momento, in una sera lontana ormai 30 anni fa, difficilmente si era visto in tv il volto di un ufficiale dell’Aeronautica. Sicuramente mai era accaduto che fosse il volto tumefatto di un soldato con il corpo tremolante e gli occhi che a fatica centravano l’obiettivo.
Tutta l’Italia, mentre era a cena, si ritrovò in video il viso dell’aquilano Maurizio Cocciolone, all’epoca capitano trentenne dell’Aeronautica militare (nato all’Aquila il 22 settembre 1960).
Dopo giorni in cui non si era saputo nulla della sua sorte, come di quella del maggiore pilota Gianmarco Bellini, esordiva con un: “My name is Maurizio Cocciolone and I’m a captain from Italian Air Force”.
Chiaramente parole dettate dai suoi carcerieri.
Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio del 1991, una formazione di otto cacciabombardieri Tornado dell’Aeronautica Militare decollò dalla base aerea di Al Dhafra, negli Emirati Arabi, dove erano rischierati per l’operazione Locusta,ricorda questa mattina il Corpo Armato sui canali social, a 30 anni dall’abbattimento del Tornato su cui i due ufficiali erano a bordo,Durante l’azione di bombardamento su alcuni obiettivi a nord di Kuwait City, il Tornado con a bordo il Maggiore Pilota Gianmarco Bellini e il Capitano Navigatore Maurizio Cocciolone, dopo aver centrato il target, fu purtroppo abbattuto dalla contraerea irachena e i due Ufficiali furono catturati.L’intervento dei velivoli italiani rientrava nel dispositivo di sicurezza messo in atto dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU a seguito dell’invasione del Kuwait da parte delle Forze Armate irachene, avvenuta il 2 agosto 1990. Di lì a qualche mese lo stesso Consiglio di Sicurezza avrebbe esteso il mandato delle forze partecipanti, dando il via all’Operazione Desert Storm.
Prima che il loro velivolo precipitasse, Cocciolone e il pilota Bellini si espulsero con il paracadute.
Furono catturati, detenuti in due posti diversi e considerati prigionieri di guerra, gli unici due italiani del conflitto.
Rimasero nelle mani degli iracheni per 47 giorni, durante i quali vennero torturati con botte e scosse elettriche.
I due ufficiali rimasero reclusi per 47 giorni prima di essere liberati, lasciando con il fiato sospeso l’Italia intera.
Il rilascio avvenne a guerra finita, il 3 marzo.
Al rientro in Italia, Cocciolone si è occupato di Sistemi di tecnologia avanzata allo Stato Maggiore dell’Aeronautica.
Ha partecipato alle missioni nella ex Jugoslavia e in Afghanistan come vice comandante della Task Force Aquila – Forward Support Base.
È andato in pensione con il grado di colonnello nel 2017 e ora vive con la famiglia a Roma.
La sua storia, unita per sempre a quella del collega Bellini che oggi vive in America a Virginia Beach, non è mai stata dimenticata.