Giulianova. Alle 15.39 del 9 ottobre 2017 il cellulare di Renata Rapposelli, la pittrice abruzzese di 64 anni il cui cadavere venne ritrovato il 12 novembre vicino al fiume Chienti a Tolentino (Macerata), si disconnette dalla rete dati della cella telefonica fino a quel momento agganciata vicino alla casa dell’ex marito Giuseppe Santoleri e del figlio Simone a Giulianova (Teramo). E’ la prova che non poteva trovarsi a Loreto (Ancona) dove il marito dichiara di averla accompagnata a pregare nella Basilica della Santa Casa. Per la Procura di Ancona, qualche ora dopo – tra le 17 e l’una di notte -, viene soffocata in casa, forse prima stordita, dai Santoleri dopo una lite furiosa. E’ uno degli elementi che fondano la misura di custodia in carcere per padre e figlio, già indagati a piede libero, per omicidio volontario e soppressione di cadavere. I carabinieri dei Nuclei investigativi dei Reparti operativi di Ancona e Teramo li
hanno prelevati in casa alle sei per condurli nel carcere di Castrogno, in esecuzione dell’ordinanza firmata dal gip di Ancona Carlo Cimini su richiesta del pm Andrea Laurino. Il giudice ha ravvisato gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari, ritenendo ‘urgente’ l’arresto, tanto da provvedere nonostante l’incompetenza per territorio per il fascicolo che verrà subito trasmesso alla Procura di Teramo. L’interrogatorio di garanzia per i due si terrà giovedì. “Li avevamo preparati a questa eventualità – hanno detto gli avv. Gianluca Reitano e Gianluca Carradori, affiancati da Alessandro Angelozzi – trattandosi di un’indagine per omicidio.
Sono abbastanza tranquilli, per quanto si possa esserlo in una situazione del genere”. L’ordinanza “fa acqua”, secondo i legali che ha preannunciando un ricorso al Tribunale del Riesame. Dalla casa dei Santoleri, ha spiegato il procuratore reggente di Ancona Irene Bilotta, nessuno ha più visto uscire la Rapposelli. Testimoni hanno sentito il figlio Simone insultarla e inveire contro di lei che aveva avviato una causa per riavere 3mila euro di assegni alimentari arretrati: “putt…dopo tanti anni sei venuta a riprenderti mio padre”. Altri hanno visto la Fiat Seicento dell’ex marito spostata diverse volte la sera del 9, forse per caricare il corpo: il cadavere, avvolto nel
cellophane e coperto da cartoni, vi sarebbe stato nascosto tre giorni. Alle 11.15 del 12 ottobre, l’auto – si vede la targa, non gli occupanti – viene ripresa dalle telecamere in una rotatoria a Porto Sant’Elpidio: appare carica, non ha la cappelliera posteriore e spuntano i cartoni dal bagagliaio. Più avanti sulla strada statale per Tolentino, a Morrovalle, la Seicento bianca compare ancora: ha il tergicristallo bloccato come l’auto dei Santoleri. Un quadro abbastanza completo, secondo l’accusa, cui potrebbero mettere il sigillo gli accertamenti definitivi medico legali, dei Ris e sulla compatibilità del terriccio sulle ruote della vettura con quello vicino al fiume
Chienti dov’era il cadavere. La parola Chienti emerge dalle ricerche sul web di Simone che, prima del ritrovamento del corpo, scaricò la sentenza della Cassazione sul caso di Roberta Ragusa, la 44enne di San Giuliano Terme (Pisa) il cui cadavere non è stato rinvenuto: nonostante ciò, la Cassazione aveva annullato il proscioglimento del marito Antonio Logli, condannato dal gup a 20 anni di carcere (appello il 18 marzo) per omicidio e soppressione di cadavere.