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Omicidio monsignor Rocco, parla il difensore di monsignor Piccoli alla vigilia del processo

Redazione Centrale di Redazione Centrale
20 Settembre 2017
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L’Aquila. “Nel referto dell’autopsia ci sono risultanze discutibili, non ci sono segni di colluttazione tipici degli strangolamenti, le tracce ematiche del mio assistito riguardano il sacramento dell’estrema unzione che gli ha impartito e soprattutto manca un movente, perché il furto di oggetti di poco conto non sta in piedi”. Cosi’ l’avvocato aquilano Vincenzo Calderoni, legale di monsignor Paolo Piccoli, 52 anni, sacerdote di origini venete e già parroco nella diocesi del capoluogo abruzzese, alla vigilia del processo che vede il suo assistito accusato dell’omicidio di monsignor Giuseppe Rocco, 92 anni, trovato strangolato nella propria camera nel seminario di Trieste, il 25 aprile 2014. Il dibattimento che vede alla sbarra il sacerdote di origini venete, ancora incardinatonella Curia del capoluogo, ma a riposo per motivi di salute, comincia venerdì prossimo davanti alla Corte d’Assise di Trieste. Calderoni che ha assunto la difesa assieme al collega Stefano Cesco, di Pordenone, e’ pronto a dare battaglia per affermare l’innocenza del suo assistito, vicino di stanza dell’anziano presule, che si e’ ritrovato in un secondo momento delle indagini indagato della gravissima accusa di presunto omicida, secondo gli investigatori motivata da un furto di oggetti sacri scoperto da monsignor Rocco. A puntare il dito contro il 52enne sacerdote, e’ stata la perpetua di monsignor Rocco. Nell’udienza di venerdì si procederà alla verifica della costituzione delle parti e a depositare la copiosa lista dei testi dell’accusa e della difesa; su tutti la perpetua. Con tutta probabilità dovrebbe essere disposta dai giudici anche la trascrizione delle numerose intercettazioni telefoniche e ambientali risultate dall’indagine, nelle quali, prosegue Calderoni “don Piccoli parla ovviamente del fatto ma mai confessa alcunché, anzi tutto l’opposto”.

Tra gli indizi che accuserebbero don Piccoli, alcune tracce di sangue trovate sulle lenzuola del letto dell’anziano sacerdote.
L’elemento che ha fatto imprimere una svolta alle indagini è stata la radiografia del collo dell’anziano prete, dalla quale sarebbero emerse con chiarezza lesioni riconducibili a un’azione violenta e non a un evento accidentale. Per il legale sono “tutte contestazioni superabili”: ‘anticipando alcuni dei contenuti della difesa, Calderoni fa notare che il problema “comincia dall’autopsia quando don Piccoli, allora non indagato, non ha avuto modo di nominare un proprio perito né di difendersi da subito, perché l’inchiesta era contro ignoti”. E questo, evidenzia “nonostante fin da subito le informative dei carabinieri facessero cenno alla sua persona e a una sua possibile colpevolezza ha determinato uno svantaggio importante, perché nel referto dell’esame si dicono cose discutibili”. In particolare, “il corpo è stato trovato a un lato del letto in posizione riversa su un fianco, sull’orario della morte non c’è nulla di preciso, ma soprattutto si parte dal presupposto che ci sia stato strangolamento sul letto – elenca Calderoni – quando invece la nostra ricostruzione è completamente diversa, non ci sono questi presupposti anche se non posso anticipare altro”. “Sono esclusi i segni di colluttazioni, un’altra anomalia: in caso di strangolamento la vittima, per quanto debole, si difende – fa notare ancora il legale – E poi lo accusano perché hanno trovato tracce ematiche sul letto, ma gli ha dato il sacramento dell’estrema unzione, si è avvicinato.
Questa è l’unica traccia obiettiva della sua presenza, che il mio assistito non nega, ma può giustificare”. Infine la contestazione forse principale per il collegio difensivo. “Manca il movente. C’era un’ipotesi di furto, è vero, ma è frutto di attività delatoria, nulla fin qui è stato effettivamente provato – precisa – È personaggio colorito e particolare, è vero, ma si parla di una statua sacra in legno di nessun valore e di una bomboniera a forma di vascello: oggetti dei quali don Paolo non ha alcun interesse e poi sarebbe comunque un comportamento sproporzionato”. Il collegio giudicante è composto dai magistrati Filippo Gullotta (presidente) ed Enzo Truncellito (a latere ) e dai giudici popolari Mauro Kechet, Rossella Bravini, Chiara Mur, Patrizia Pellaschiar, Corrado Cadamuro e Antonia Ciaccia.

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