Pescara. Squalifica revocata, e una battaglia, nella lotta la razzismo, vinta. Sulley Muntari però non ha ancora smaltito l’amarezza per quei buu intonati da alcuni spettatori domenica scorsa a Cagliari, e dopo la decisione della Corte d’Appello della Figc di annullare lo stop sancito dal giudice sportivo, si sfoga. “Mi hanno trattato come un criminale. Come potevo essere punito quando ero io la vittima di un atto razzista?” dice il ghanese del Pescara che, di fronte a quei cori, aveva chiesto all’arbitro Minelli di interrompere la partita, e, non ascoltato, aveva lasciato il campo per protesta. Da qui ammonizione e rosso, infine la squalifica per un turno. “E’ come se qualcuno finalmente mi avesse ascoltato ha detto Muntari in un’intervista a Fifpro .
E’ un’importante vittoria per mandare un chiaro messaggio: non c’è posto per il razzismo nel calcio, o nella società. Gli ultimi giorni sono stati duri. Mi sentivo arrabbiato e isolato”. In realtà la squalifica aveva suscitato un’ondata di critiche: un giocatore che aveva subito insulti e pure sanzionato, nello stesso giorno in cui anche l’Onu aveva elogiato il calciatore come esempio contro il razzismo. Il capo della Figc Tavecchio si era detto “soddisfatto per l’esito della vicenda”, mentre il tecnico del Pescara Zeman che pure non aveva gradito l’uscita dal campo di Muntari, con la squadra già messa male e ridotta in dieci, ha parlato di “decisione di buon senso”.
Ed ha aggiunto: “questo può essere un precedente che cambia le cose. Visto che di questo caso si è parlato in tutto il mondo, ritengo sia stata una scelta conseguente, considerato anche il gesto eclatante di Muntari. Lui ha chiesto scusa ai compagni quando ha lasciato la squadra in dieci, ma era una cosa dovuta”. “Spero che il mio caso ha concluso Muntari sia di aiuto affinché altri calciatori non debbano soffrire quello che ho sofferto io. E’ un’importante vittoria, un chiaro messaggio che non c’è posto per il razzismo nel calcio, o in generale nella società”, e ha ringraziato chi gli è stato vicino, come Damiano Tommasi presidente dell’Assocalciatori italiana (che ha presentato il ricorso assieme al giocatore), l’Alto Commissario Onu per i diritti umani.