Se gli orsi potessero parlare, non lo farebbero affatto. Stavolta però abbiamo chiesto di fare uno sforzo all’orsa Amarena dopo tutto quello che è successo.
Ciao Amarena, come sta?
Sto male, ma non da adesso. Il mio dramma è cominciato il 23 gennaio scorso quando è morto mio figlio. Juan Carrito è finito sotto a una macchina e ha perso la vita tra strazianti dolori.
Adesso dov’è?
Ora ci siamo ricongiunti, siamo insieme finalmente. Ma questo è solo l’ultimo capitolo della storia.
Sappiamo come è finita, ma non come è cominciata questa storia di odio e amore con gli umani. Ce la racconti.
Eravamo abituati io e i mie cuccioli a girare per i paesi qui intorno, in Abruzzo. Gli umani non ci hanno mai fatto del male. Sì, è vero, qualche volta ci hanno urlato contro, inseguiti, illuminati con i fari delle auto, ma il più delle volte ci hanno solo scattato foto e girato video. Andavamo spesso in giro per cercare qualcosa da mangiare, del cibo tra i rifiuti, qualche scarto, qualche pollo.
Quella sera che è successo?
Era una sera come tutte le altre. C’erano le stelle, era caldo. Sono entrata in un’area, c’erano dei polli. All’improvviso ho visto una canna di fucile. Non era una macchina fotografica o uno smartphone. Era un’arma. Non capivo perché. Poi ho sentito un colpo. Sono fuggita verso l’uscita, ho cercato i miei cuccioli, non riuscivo vederli. Poi li ho visti. Ho detto loro di fuggire, di correre il più veloce possibile, senza fermarsi. Non riuscivo a respirare, sapevo che per me era le fine. Ho guardato l’orizzonte tenendo gli occhi aperti fino a quando non hanno superato l’ostacolo, fino a quando la loro sagoma non è svanita tra la vegetazione. Solo a quel punto mi sono lasciata andare. Poi il nulla, il buio.
Che si sente di dire a chi le ha sparato?
Che deponga le armi. Che getti tutta quella ferraglia che aveva in casa. Che tutti depongano le armi e che siano fratelli tra umani e amici degli altri essere viventi. Ci chiamano animali, ma spesso gli umani sono come animali, animali con le armi. Per essere fratelli bisogna che lasciate cadere le armi dalle vostre mani, perché prima che causare morte e dolore alle vittime, generano cattivi sogni in chi le imbraccia, portano incubi a chi le usa, li conducono alla divisione e all’odio. All’infelicità. Se quella sera quell’uomo non avesse avuto un’arma, ora sarebbe una persona felice, e io sarei una mamma serena. Senza le armi questo mondo sarebbe un mondo migliore, non solo per gli animali, ma soprattutto per gli stessi umani che le armi le costruiscono e le usano.
Riuscirà mai a perdonare chi le ha sparato? E riuscirà a perdonarci tutti per quello che le abbiamo fatto?
Io l’ho già perdonato e spero che anche gli altri umani facciano lo stesso perché portare rancore ormai non serve a nulla. Serve invece evitare che certe cose accadano ancora. Che tutta questa mobilitazione per me diventi energia positiva per cambiare le cose e non per una infertile vendetta. Spero che il mio sacrificio faccia in modo che non capiti ad altri quello che è capitato a me.
Che cosa chiede ora agli umani?
Non chiedo nulla. Basta che ci lascino in pace. Io non provo rancore, ma se gli umani vogliono almeno ripulire un po’ della propria coscienza, si prendano cura dei miei due cuccioli.
Come?
Facciano tutto quanto è in loro potere per preservarli dagli uomini stessi, rispettandoli, lasciandoli vivere in pace. Solo così non saranno vani tutti gli sforzi che ho fatto per farli crescere. Che non accada loro quello che è successo a Juan Carrito. Che non accada loro quello che è successo a me. Questo è quello che chiedo.