L’Aquila. In Abruzzo calano gli infortuni sul lavoro, ma aumentano le malattie professionali. A rivelarlo è un’analisi condotta dal centro studi ‘M. Ciancaglini’ della Cisl AbruzzoMolise. Nel 2014 in Abruzzo ci sono stati 15.717 infortuni sul lavoro, di cui 32 mortali. Meno incidenti, dunque, rispetto al passato. Nel 2013 gli infortuni sul luogo di lavoro furono 16.672, 30 dei quali mortali, 18.323 nel 2012 con 39 morti, 20.459 nel 2011 con 40 lavoratori deceduti e 21.709 nel 2010 con 46 decessi. I casi di malattie professionali accertati nel 2014 sono stati 5.289, in lieve aumento rispetto agli anni 2012 e 2013. L’indagine viene diffusa alla vigilia del 28 aprile, giornata che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) dedica alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, e del primo maggio festa del lavoratori. In Abruzzo nel 2014 in cima alla classifica per numero di infortuni c’è la provincia di Chieti con 5.096; seguono il Teramano con 3.665), l’Aquilano (3.645) ed infine il Pescarese con 3.311. Occorre “concordare azioni per promuovere la prevenzione, sempre più necessaria in una situazione che continua a destare preoccupazione” dicono Maurizio Spina e Paolo Sangermano, rispettivamente segretario generale e interregionale di Cisl AbruzzoMolise. Tuttavia oltre alla tutela del lavoratore sul proprio luogo di lavoro, oggi la vera piaga sociale è rappresentata dalla mancanza di occupazione, da una parte ci sono gli esodati e dall’altra i giovani disoccupati. Tra il 2008 e il 2015 sono stati persi in Abruzzo ben 32.000 posti di lavoro. Il dato maggiormente preoccupante riguarda il tasso di disoccupazione giovanile che nella fascia tra i 15 e i 24 anni di età, è pari al 48,1 per cento. I giovani sono anche quella categoria sociale meno tutelata spesso assunti con contratti di lavoro che non offrono alcuna garanzia soprattutto contributiva, e spesso sottopagati con voucher o semplicemente in nero. Quali prospettive lavorative e di vita, dunque, per quella generazione che rappresenta il futuro? Ha ancora un senso festeggiare il primo maggio, se non invocare un lavoro tutelato e giustamente retribuito per ognuno?