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Cinque anni dal terremoto dell’Aquila, viaggio lungo le vie del centro. Cosa è cambiato

Redazione Cronaca di Redazione Cronaca
5 Aprile 2014
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L’Aquila. E con questo sono cinque gli anni trascorsi da quella tragica notte del 6 aprile del 2009, quella della scossa più forte, il cui magnitudo resterà un mistero che oscilla fra il 5.9 e il 6.6. Quella del boato che ha fatto fermare le lancette dell’orologio alle 3.32. Quella che ha colpito al cuore L’Aquila e tanti comuni limitrofi. Quella che ha segnato un passaggio violento, secco, assordante, dalla vita alla morte, che ha mietuto 309 vittime sepolte dalle macerie, compresa una bimba che sarebbe dovuta nascere quella mattina, e chissà quante altre nel lento trascorrere di questi anni difficili e bui.

Oggi, come allora L’Aquila cerca il riscatto, non si arrende. Ma non è facile. Camminare tra i vicoli della città sembra come  tornare indietro nel tempo. Purtroppo in alcuni quartieri del centro sembra che nulla sia cambiato da allora. Le serrande dei negozi sollevate a metà sono il segnale dell’arrivo di sciacalli o barboni che bivaccano abusivamente, e non il simbolo di chi ha voglia di ricominciare. Cumuli di rifiuti contornano molte strade del centro. I cantieri ci sono, e sono aperti, ma predomina il caos lasciato dalla devastazione. Vecchi elettrodomestici, vengono estratti dalle abitazioni e caricati nei cestelli per essere portati via. L’Aquila ci prova a spiccare il volo, ma cinque anni non sono bastati. Percorrendo le vie del centro storico si avverte il vuoto di un tessuto sociale che non c’è più, o che non è più come quello di una volta. Le strade sono vuote e in un pomeriggio di primavera come tanti si avverte la voce del silenzio. I simboli istituzionali, le bandiere dell’Unione europea e il Tricolore sono consumati dal tempo, logori da cinque anni di intemperie e di abbandono. E anche i simboli del terremoto, come il portale della Prefettura e la casa dello studente, sembrano quasi imbalsamati dagli anni.

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Quella notte del 6 aprile è una notte che rimarrà nella memoria degli aquilani, una notte che dura da cinque anni e che lascia solo intravedere le prime luci dell’alba, di un’alba che porterà a un nuovo giorno, a nuova vita, che per il momento è solo nella speranza, quella che non muore, che è l’ultima a morire, che alimenta forza e coraggio, entusiasmo e voglia, rispetto e memoria.   Ma è troppo facile dire: non si è fatto nulla in questi anni, troppo comodo dire: si è fatto il possibile in questi cinque anni. E allora, con in testa le parole di Papa Francesco agli aquilani: jemo ‘nnanzi, senza mai dimenticare per tornare con la memoria ai primissimi momenti successivi al sisma, a quelli della tragedia, dei soccorsi e dei feriti, 1600 di cui 200 gravissimi, delle tendopoli e degli sfollati, 65000 raggiunti e sistemati con uno spiegamento di uomini e mezzi che mai si era visto prima. Tornare con la memoria ai quasi 30.000 edifici danneggiati che hanno prodotto 4 mln di tonnellate di macerie caduti in pochi istanti che hanno alzato polvere di morte. Tornare con la memoria alle persone estratte vive da quell’inferno anche molte ore dopo il sisma. Tornare con la memoria alla casa dello studente e alle sue vittime, simbolo del dolore e della rabbia. Tornare con la memoria ai funerali di stato per 205 delle 309 vittime accertate alla Scuola Ispettori e Sovrintendenti della Guardia di Finanza a Coppito, alla presenza di 1.600 familiari e 5.000 persone e con impresso negli occhi il motto della Guardia di Finanza, Nec recisa recedit, neppure spezzata retrocede. Tornare con la memoria all’emergenza per cibo, acqua, vestiti, medicinali. Tornare con la memoria ai piccoli comuni rasi al suolo come Onna, Paganica, Tempera, San Gregorio, Villa Sant’Angelo, Roio, Fossa. Tornare con la memoria all’immenso patrimonio artistico e culturale andato distrutto, al centro storico di L’Aquila, cuore del sisma e zona rossa martoriata, puntellata e abbandonata perché la new town, fatta di case prefabbricate su lande deserte alla periferia della città sembrava l’unica via percorribile per garantire un tetto, alternativo ad una tenda in attesa di ricostruire L’Aquila come era prima, più bella di prima. Tornare con la memoria perché è la storia di una città, di una provincia, di una regione, di una terra e dei suoi abitanti, forti e gentili. Tornare con la memoria ma anche tornare a vivere, tornare ad abitare, tornare a lavorare, per non dimenticare, tornare per non abbandonare, tornare per ricominciare. Gianluca Rubeo

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