Torna, di nuovo, a chiedere di essere ascoltato sul caso Orlandi, risalito alla ribalta proprio in questi giorni con il ritrovamento di due ossari in Vaticano. Maurizio Giorgetti, il supertestimone del rapimento avvenuto nel 1983 a Città del Vaticano, non si ferma.
Tornato in Abruzzo, nella Marsica, è convinto di essere in possesso di elementi determinanti per la soluzione del caso.
E lo fa nonostante la condanna per molestie ai carabinieri subita proprio perché ai militari dell’Arma della stazione di Soriano, dove vive da anni, continuava a voler riferire elementi di sua conoscenza sul più intricato giallo degli anni ottanta, se non di tutti i tempi.
Ora parla di nuovo di “prove fornite” su Emanuela Orlandi e anche su Ilaria Alpi, la giornalista e fotoreporter assassinata a Mogadiscio in circostanze ancora da chiarire. E’ stato condannato a un anno di reclusione dal Tribunale di Viterbo a giugno del 2018 proprio per le sue telefonate e le sue continue visite in caserma allo scopo di denunciare le autorità poiché nessuno lo ascoltava più.
Personaggio discusso, turbolento, acculturato, con alle spalle un passato burrascoso che va dalla militanza politica di estrema destra, fino all’attività imprenditoriale, dalla pubblicazione di volumi come il libro denuncia “Un uomo qualunque”, fino all’attività economica, passando per il volontariato, Maurizio Giorgetti, è stato per anni il supertestimone del caso di Emanuela Orlandi. La 15enne sparì misteriosamente il 22 giugno del 1983. Il caso divenne uno dei più oscuri della storia italiana, che coinvolse il Vaticano, lo Ior, la Banda della Magliana e i servizi segreti di diversi Paesi. Ancora oggi è un giallo internazionale.
Per anni Giorgetti ha puntato il dito contro i membri della banda della Migliana, ma le sue dichiarazione non sono mai state considerate attendibili a causa della carenza di riscontri testimoniali o materiali. Adesso è pronto a scrivere una nuova puntata sulla vicenda in attesa dell’esito delle analisi sugli ossari rinvenuti.