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A 86 anni pascola il gregge sui Piani Palentini: nonna Meca e tutto l’orgoglio degli abruzzesi pastori

Redazione Cronaca di Redazione Cronaca
30 Giugno 2021
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Capistrello. Ha 86 anni e nella vita non ha mai smesso di lavorare. La conoscono tutti solo come “Meca”, si chiama Domenica Salustri. È di Capistrello.

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Ed eccola Meca, fiera, con il suo bastone alzato, a indicare la strada alle pecore, al gregge, fonte di prosperità e ricchezza per la sua famiglia, per tutta una vita. Ora a curarle è il figlio, Fiorello, ma anche lei continua instancabilmente a darsi da fare.

Qualche settimana fa la sua foto mentre guida il gregge è stata condivisa sui social e nel giro solo di qualche minuto sono stati tantissimi i commenti di apprezzamento lasciati dagli utenti della rete, anche da parte di chi non la conosce.

Non solo pecore però, perchè fino a qualche mese fa Meca si prendeva cura anche di “Traconetta” la sua mucca da latte. L’ha accompagnata per 40 anni. Allora eccola anche in sua compagnia, con lo sfondo del fontanile e dei colori dei Piani Palentini dove nonna Meca porta ancora i suoi animali a brucare l’erba.


Sembrano immagini arrivate da un passato lontano, che invece tanto lontano nemmeno è e che oggi fungono da anello di congiuzione tra la tradizione della pastorizia, che ha scritto la storia della regione Abruzzo e quel formaggio che ancora oggi troviamo sulle nostre tavole, venduto al dettaglio da pastori, da aziende agricole zootecniche, in questo caso a Capistrello.

“Meca è una bersagliera”, commenta la nuora Fiorella, “non si ferma, non si fermerà mai. Come quando racconta di quando aveva il figlio piccolo di pochi mesi e doveva andare a lavorare. Lo lasciò avvolto in un lenzuolino e lo lasciò in un canale. Cosa gli sarebbe mai potuto accadere. Era nascosto e ad accudirlo c’era la terra e la natura. E di quei cacciatori che passando di lì le dissero: ‘Ahò… Lì c’è l’agnellino che si muove… vallo a guardare…’. Non sapevano che lì c’era un neonato e non un agnellino. Oppure di quando racconta che per fare il formaggio usava la fiamma delle frasche che lasciava essiccare mesi nei rovi. E poi le andava a ricercare, ritrovandole esattamente nel punto in cui sapeva che le aveva lasciate. Quando bruciavano scoppiettavano e qualche volta qualche residuo finiva anche nel latte che si stava trasformando in formaggio. E poi lei con pazienza lo scremava e li toglieva. Perchè quel fuoco il formaggio lo rendeva più buono. Erano altri tempi. Ma noi abbiamo avuto la fortuna di ascoltarli e di viverli. Erano i racconti che si facevano intorno a un tavolo, in famiglia”.

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