“Sono cresciuta tra persone che raccontavano storie, ero abituata ad ascoltarle. Anche noi venivamo chiamati a fare la nostra parte, dovevamo interpretarle, modellarle, recitarle. Spesso erano storie terribili di fantasmi, in una combinazione di realtà e magia. In queste storie c’è un ritmo, un silenzio, uno spazio, il riposo”.
Toni Morrison, il cui vero nome era Chloe Ardelia (o Anthony, le fonti sono discordanti) Wofford, è stata la prima scrittrice afroamericana a vincere il Nobel per la Letteratura nel 1993 con il romanzo “Amatissima” che pochi anni prima aveva ottenuto anche il Premio Pulitzer. Nata negli anni ’30 nell’America del segregazionismo e della discriminazione, discendente da schiavi, parte di una minoranza povera ed emarginata, trasforma questa esperienza in una riflessione universale sul potere e la disuguaglianza, sul maschilismo e la memoria, sul valore delle donne e l’importanza della comunità, sulla oppressione e le ingiustizie subite dal suo popolo; la cultura afroamericana è nata nella violenza e nella prevaricazione, è una cultura ferita, inseguita da fantasmi e crisi d’identità, formata da secoli di schiavitù e milioni di vittime. È di questo che parlano i suoi libri, in cui la realtà è mescolata a riferimenti folklorici o situazioni surreali: con forza visionaria e spessore poetico, usa la scrittura come strumento di lotta e di denuncia per raddrizzare la storia, per fare in modo che abbia un senso, per ricordare com’era vivere in un paese totalmente disumanizzato.
Al centro di “Amatissima” troviamo Sethe, una schiava che cerca di fuggire ma il padrone riesce a catturarla e lei, per evitare che la figlioletta subisca lo stesso destino crudele, la uccide. Potevano prendere lei, ma non la sua parte migliore, pulita, magica: sua figlia. L’ispirazione a scrivere questo romanzo le venne da un fatto di cronaca: una schiava, fallita la fuga verso la libertà, tentò di uccidere i suoi quattro figli – ne morì uno soltanto – per liberarli dall’orrore della schiavitù e subì un processo che mise in moto un dibattito feroce tra abolizionisti e schiavisti. Questi ultimi si rifiutavano di condannarla per omicidio, perché uccidere significa essere responsabile delle proprie azioni e responsabile dei propri figli tanto da decidere di ammazzarli; l’accusa era invece di furto, perché la schiava aveva rubato se stessa e i suoi figli al padrone. La schiava è un bene o una persona? Una proprietà o un essere umano?
“I bianchi credevano che, qualunque fosse la loro educazione, sotto ogni pelle scura si nascondesse una giungla. Acque vorticose non navigabili, babbuini che si dondolavano gridando, serpenti addormentati, gengive rosse pronte a succhiare il loro sangue dolce di bianchi. In un certo senso, pensò, avevano ragione. Più la gente di colore si sforzava di convincerli di quanto fossero gentili, intelligenti e affettuosi, umani, più si usavano a pretesto per persuadere i bianchi di qualcosa che i negri credevano fosse fuori discussione, e più la giungla dentro si faceva fitta e intricata. Ma non era la giungla che i negri avevano portato con sé in quel posto dall’altro posto (vivibile). Era la giungla che i bianchi avevano piantato loro dentro. E cresceva. E si allargava, si allargava prima, durante e dopo la vita, fino a coinvolgere i bianchi stessi che l’avevano creata. Li rendeva crudeli, stupidi, più di quanto non volessero esserlo, tanto erano spaventati da quella giungla di loro creazione. I babbuini urlanti vivevano sotto la loro pelle bianca, le gengive rosse erano le loro.”
Come scrittrice ha raccontato la storia della sua gente e come editor per la casa editrice Random House di New York, una collaborazione lunga vent’anni, ha aiutato molti autori afroamericani a pubblicare i loro racconti. Al tempo stesso ha continuato a lavorare in varie università, fino a ottenere la cattedra nella prestigiosa Università di Princeton, dove ha insegnato scrittura creativa.
La sua vita, i suoi libri, la sua voce: tutto in Toni Morrison ha contribuito alla lotta per i diritti civili, ha promosso una nuova prospettiva sulla società e sulla storia, ha offerto dignità e rispetto al suo popolo e in particolare alle donne. Ricordare per lei era un dovere, scavare e portare alla luce come un’archeologa; la memoria è il fulcro della lotta per la giustizia perché “se uccidi gli antenati, sei morto anche tu”.