Ortona. “La mia vita è cambiata drasticamente a 20 anni, quando ho iniziato a portare il velo. Ero la prima ad affermare che gli italiani non sono razzisti, mi sono dovuta ricredere”. A parlare è Miryam, 27 anni, studentessa nata a Ortona, in Abruzzo, da genitori tunisini.
“Dopo la mia scelta”, racconta, “sono andata a cena da un’amica storica. C’erano altri ospiti e suo padre ha sentito l’esigenza di giustificare la mia presenza: ‘fino a ieri era normale, adesso si copre col burqa’. Da lì ho capito che sarebbe cambiato tutto”. Dopo la laurea triennale, nel 2018, si è trasferita a Torino per completare gli studi.
“All’inizio vivevo in una residenza universitaria”, spiega, “le difficoltà sono iniziate terminati gli esami. Ho iniziato a cercare una casa in affitto, i miei genitori facevano da garanti. Al telefono le conversazioni filavano lisce, con i messaggi cambiava tutto. Il motivo? La foto col velo. Ma tu di dove sei? L’agenzia non affitta a stranieri”.
Ma nonostante le rassicurazioni, ingiustificate, non è mai riuscita a ottenere un appuntamento. “Alla fine ho dovuto rinunciare”, spiega Miryam intervistata dal Corriere, “e mi sono rivolta all’associazione Almaterra. Adesso vivo in uno dei loro spazi e svolgo volontariato e servizio civile. Non so come avrei fatto altrimenti. La difficoltà a trovare casa vale per tutti i giovani, ma per chi è nella mia condizione un po’ di più. È come se dovessi sempre dimostrare qualcosa, di essere più brava degli altri”.
Ma la discriminazione religiosa non si limita all’abitare: “lavoravo come animatrice alle cerimonie. Un giorno il mio superiore mi ha preso da parte, chiedendomi di togliere il velo: ‘Non vorrei creare un ambiente di disagio per i clienti'”. Un colpo duro: “Ho riflettuto parecchio se fosse il caso di toglierlo”, ammette, “ma alla fine ho capito che si tratta di un atto politico, una forma di attivismo. Voglio abbattere i pregiudizi, essere un elemento di rottura. Il periodo più duro sono state le settimane seguenti all’attentato di Charlie Hebdo, era accaduto lo stesso ai miei genitori dopo le Torri Gemelle”.
Le storie sono tante: “un amico indiano ha un contratto indeterminato con la Lavazza, ma ha trovato casa solo grazie alla sua ragazza italiana. Un altro amico marocchino si è appena laureato al Poli, dopo mesi di ricerche vive in subaffitto. Molti subiscono le stesse dinamiche”. Il suo luogo preferito a Torino è Porta Palazzo: “Lì nessuno si gira, vorrei accadesse lo stesso nel resto della città. Gli atteggiamenti razzisti appartengono soprattutto a persone over 50, con i miei coetanei non è così. Una speranza per il futuro”.