Roma. Lo scorso 2 aprile, la Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di secondo grado risalente al giugno 2022, che assolveva un uomo accusato di violenza sessuale.
Il fatto risale all’11 agosto 2016. Una giovane donna aveva trascorso la serata in discoteca. Dopo aver litigato con il fidanzato, aveva chiesto a un uomo lì conosciuto un passaggio per tornare a casa. L’uomo l’aveva violentata, prima nel suo furgone e poi in una abitazione. Fuggita in seguito alla violenza, la giovane aveva riferito dell’aggressione subita alla madre e alle amiche, rivolgendosi in seguito a una psicologa. Con quest’ultima, a quanto riferisce il Giornale, aveva ricordato di essere rimasta: “sempre inerte, sopraffatta e paralizzata non solo in occasione dei primi atti sessuali, consumati all’interno del furgone in zona isolata e in piena notte, dove non vi era nessuno a cui chiedere aiuto, ma anche quando, rimasta a pochi minuti da sola in macchina con gli sportelli aperti, non aveva tentato la fuga.”
Secondo i giudici di merito, tale comportamento avrebbe costituito una sorta di implicita approvazione nonostante il rifiuto verbale ripetutamente opposto dalla donna. A sostegno di tale singolare argomentazione, nella sentenza – molto discussa – ci si era spinti a citare il detto latino di Ovidio “vis grata puellae” (“la forza è gradita alla fanciulla”). Insomma, il reiterato rifiuto verbale della vittima – che più volte aveva detto “no” al rapporto sessuale – non era stato ritenuto sufficiente, quasi che sulla vittima gravasse l’onere di resistere fisicamente a oltranza agli approcci sessuali subiti.
Ora la Cassazione ribalta il verdetto. E considera che, nella circostanza, la mancata fuga sia “da ricondurre ad uno stato di prostrazione psichica tale da inibirle qualunque forma di reazione concreta e attiva.”
La Corte rigetta le argomentazioni del giudice di merito che sostiene l’inattendibilità della persona offesa circa il dissenso al rapporto sessuale e asserisce che il semplice rifiuto verbale ai rapporti sessuali, comunque manifestato dalla persona offesa, potesse essere interpretato dall’imputato come una forma di ritrosia meramente formale e apparente.