Roma. “Rivalutare la possibilità di una più precisa fissazione dell’ora del delitto” e “restringere in modo perentorio i possibili autori dell’omicidio in quel ristretto novero di persone che: avevano la possibilità di ottenere un comodo punto di appoggio nel palazzo o in aree limitrofe, tanto da trovarvi riparo immediatamente dopo il delitto; verosimilmente, di gruppo sanguigno di tipo A; erano plausibilmente note alla vittima, almeno in termini di conoscenza superficiale od occasionale, o comunque in grado di apparire rassicuranti e non pericolose agli occhi della stessa Simonetta Cesaroni”.
Così si legge nelle conclusioni della relazione, approvata dalla Commissione parlamentare Antimafia, sull’attività di indagine e acquisizione documentale svolta relativamente all’omicidio di Simonetta Cesaroni, avvenuto il 7 agosto 1990 negli uffici dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù (A.I.A.G.), siti in via Poma n. 2, a Roma. Conclusioni, precisamente, con cui sono culminati gli approfondimenti del Comitato XXI, coordinato da Stefania Ascari (M5s), e che confluiranno poi in una relazione finale. In sede istruttoria sono stati ascoltati Paola Cesaroni, sorella della vittima, l’avvocato della famiglia, Federica Mondani e il giornalista Igor Patruno, uno dei massimi esperti del caso.
Nella relazione si precisa che la Commissione “si è limitata all’acquisizione di atti e all’ascolto di persone informate dei fatti, al solo fine di incentivare la costituzione di una Commissione di inchiesta, il cui documento istitutivo era in corso di trattazione presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati”.
“Lo scioglimento delle Camere, intervenuto il 21 luglio 2022”, si legge, “ha reso vano questo proposito ma ha comunque consentito a questo collegio inquirente di acquisire atti di rilievo che potrebbero essere di ausilio alla Procura di Roma per riconsiderare le prospettive di risoluzione di questo travagliato omicidio”.
Il testo della relazione passa in rassegna alcuni “punti oscuri” del caso, prospettando piste da seguire in sede di auspicate, ulteriori indagini da effettuare. “Resta ragionevole credere che l’omicida fu persona che aveva un notevole livello di confidenza con lo stabile, se non proprio con l’appartamento. Si deve essere trattato di persona che poteva contare su un rapporto di confidenza con la vittima o che era in grado di approfittare della fiducia di Simonetta Cesaroni o quantomeno, in via subordinata, di non indurla in sospetto o in allarme, trovandosi a tu per tu, in situazione di isolamento. Si trattava di un contesto – vale ricordarlo – caratterizzato dal palazzo deserto per via dell’estate romana con i suoi effetti di spopolamento in uno stabile i cui interni erano dedicati anche ad uffici. Peraltro, di questa linea interpretativa si fa portatrice la più volte citata sentenza della Corte di assise di appello di Roma”.
Ancora: “D’altro canto, rimane estremamente probabile che l’omicida sia di gruppo sanguigno A, perché sarebbe altrimenti poco spiegabile che a tale gruppo sanguigno debbano essere ricondotte le macchie ematiche rinvenute su interno, esterno e maniglia della porta della stanza dove venne ritrovato il cadavere. Delle molte ipotesi fatte per spiegare questa risultanza degli esami sui reperti ematici, tutte comunque risultano conducenti nell’identificare il sangue repertato nell’appartamento come quello dell’omicida, magari anche frammisto a quello della povera vittima. Appare altamente probabile che l’aggressore si sia ferito nella colluttazione e nella ancor più feroce e violenta dinamica omicidiaria. Va qui detto per inciso che molte meno certezze provengono dalle tracce ematiche reperite nel vano ascensore, sia per l’evidente ragione che trattasi di luogo più promiscuo in termini di frequentazione, sia perché rimane arduo pensare che più persone abbiano perso sangue negli immediati dintorni di tempo e spazio del delitto, includendo in questo ragionamento anche la sovrapposizione di più catene causali succedutesi tra il pomeriggio e la sera e, al limite, indipendenti tra loro”.
La relazione riterrebbe utile, inoltre, “riconsiderare le telefonate anonime che la Cesaroni iniziò a ricevere – presso la sede della Reli S.A.S. – proprio nel periodo in cui ella cominciò a prestare servizio presso l’Aiag. Del contenuto di tali chiamate la Cesaroni ebbe a riferirne ai genitori. Secondo il padre, interrogato sul punto il 17 aprile 1996, si trattava di un soggetto di sesso maschile, apparentemente gentile, colto, educato, che faceva degli apprezzamenti con un certo garbo. In particolare, l’anonimo avrebbe domandato reiteratamente alla Cesaroni: ‘Ma non mi riconosci?’, come se si fossero incontrati in un’occasione antecedente”.
La Commissione ha poi proceduto ad acquisire il filmato integrale di una puntata di “Chi l’ha visto?” dedicata al delitto, nel corso della quale, dopo una sintetica ricostruzione della vicenda processuale successiva all’omicidio di Simonetta e l’indicazione di possibili sviluppi nell’ambito dell’indagine, è stata trasmessa l’intervista a un misterioso soggetto. A costui, irriconoscibile perché oscurato e con la voce contraffatta, è stato chiesto, tra l’altro, se non si fosse provveduto a verificare il gruppo sanguigno delle persone residenti nello stabile di via Poma all’epoca del fatto. La domanda sottintendeva evidentemente la possibilità che l’autore del delitto rivelasse una significativa conoscenza del condominio e, in generale, del contesto circostante, scenario investigativo che ora potrebbe risultare utile ripercorrere.
“Il fatto”, continua la relazione, “è che la persona intervistata ha rappresentato una sorta di paradigmatico esempio della notevole utilità di procedere in tal senso, trattandosi di un soggetto che lavorava come professionista nel palazzo trentadue anni fa, cioè all’epoca del delitto di Simonetta Cesaroni. La Commissione, per inciso, ritiene di trasmettere il girato integrale all’autorità giudiziaria, includendolo nel novero delle acquisizioni utili per un eventuale supplemento di indagine e comunque risparmiando alla Procura di Roma di far ricorso ad un provvedimento di sequestro, valutando anticipatamente, se del caso, l’utilità dell’integrale materiale girato”.
La Commissione, inoltre, “fa voti affinché si possa considerare l’ipotesi di più approfonditi atti investigativi, volti a valutare il possibile legame tra il furto nel caveau di cui fu vittima, tra gli altri, Francesco Caracciolo di Sarno (deceduto anni fa e, all’epoca, presidente dell’Associazione presso la cui sede fu appunto uccisa Simonetta Cesaroni, ndr), con gli uffici dell’Aiag e con il delitto”. Dunque, in questo nuovo corso dell’indagine, sembra che l’attenzione torni a concentrarsi su persone correlate con l’A.I.A.G. e, in generale, con lo stabile in cui il delitto è stato commesso. Il gruppo sanguigno dell’allora presidente A.I.A.G., comunque, è risultato diverso da quello repertato sulla scena del crimine, che la Commissione ritiene verosimilmente appartenere all’assassino di Simonetta. È quanto ribadisce il documentarista Paolo Cochi, autore di una approfondita ricostruzione della vicenda, raggiunto da AbruzzoLive per un commento sugli ultimi sviluppi. Il mistero è ancora fitto e l’auspicio è che le indicazioni fornite dalla Commissione si traducano in piste investigative utili per raggiungere, finalmente, la verità.