Partendo dal presupposto che ogni selezione può essere fallace proprio perché si fonda su una scelta arbitraria e un gusto soggettivo, proviamo a rendere omaggio ad alcuni tra i migliori esordi narrativi degli ultimi anni; una sorta di ritorno alle origini, quando tutto è cominciato per alcuni scrittori, divenuti poi apprezzati protagonisti del panorama editoriale.
Al centro di questa seconda “puntata” (trovate la prima disponibile qui) ci sono gli uomini: tra tanti straordinari scrittori, ne sono stati scelti quattro che hanno rivelato dal loro primo romanzo una storia indimenticabile e originale e un talento maturo e cristallino. Ecco quattro storie toccate dalla grazia:
“Le vergini suicide” di Jeffrey Eugenides
Un esordio folgorante, feroce e commovente, quello dello scrittore americano di origini greche Eugenides, pubblicato per la prima volta nel 1993 e poi tradotto in tutto il mondo. È un romanzo collettivo: la voce narrante è di un gruppo di amici ormai adulti che ripercorre gli anni dell’adolescenza vissuti all’ombra delle fanciulle in fiore per dirla con Proust, ammaliati dal fascino delle cinque sorelle Lisbon, vicine di casa bionde e bellissime, eteree e inafferrabili. “I loro visi, le volte che riuscivamo a posarvi lo sguardo, ci colpivano come una sorta di rivelazione impudica, quasi fossimo avvezzi a vedere soltanto donne coperte da un velo”. Fin dalle prime pagine ci viene svelato il suicidio di una delle cinque adolescenti e nel giro di un solo anno anche le altre sorelle, una dopo l’altra, sceglieranno la stessa fine. Siamo negli anni ’70 in un’America puritana e bigotta, e la tragedia sconvolge il piccolo paese ordinario e tranquillo; i tanti perché senza risposta si accavallano in un’atmosfera soffocante e drammatica. Le ragazze rappresentavano il fremito della giovinezza e della vita, il sogno proibito, per poi diventare nel ricordo nostalgico il simbolo di una possibilità perduta. Una storia crudele e poetica che non si può dimenticare.
“Il giardino di cemento” di Ian McEwan
“Non ho ucciso mio padre, ma certe volte mi sembra quasi di avergli dato una mano a morire”: questo è l’incipit del cupo e inquietante romanzo d’esordio dello scrittore britannico Ian McEwan. Julie, Jack, Sue e Tom sono quattro fratelli orfani, rimasti soli in una grande casa che si perde tra i grattacieli vicini. La voce narrante è di Jack, un adolescente nel pieno delle trasgressioni della sua età, attratto morbosamente dalla sorella maggiore, Julie, che ha lo “sguardo profondo di qualche animale raro e selvatico” ed è complice di giochi segreti che stimolano corpi non più acerbi; poi c’è Sue, dal volto incolore e l’animo ingenuo, e infine il piccolo Tom, sempre in cerca di attenzioni e di calore umano, che si traveste da femmina e gioca a impersonare chi lo circonda. Il giardino di cemento è l’impresa, rimasta incompiuta, del padre di Jack, un giardino che è in realtà una distesa grigia e desolante. Jack dà una mano al padre senza tuttavia risparmiare a quell’uomo fragile, irascibile, ossessivo e con il cuore malato alcuno sforzo, tanto che un’ischemia lascia il genitore riverso a faccia in giù sul cemento appena steso. Di lì a poco anche la madre dei ragazzi muore, una figura inconsistente e per niente significativa per la vita dei figli. Con sguardo lucido e impietoso, McEwan osserva e descrive la vita tormentata di una famiglia perduta, in lotta per la sopravvivenza tra solitudine e oscurità.
“Revolutionary road” di Richard Yates
Il primo romanzo dello scrittore Richard Yates, magnetico e spietato ritratto di una famiglia americana degli anni ’50, è ormai considerato un classico di culto, “esempio di scrittorialità perfetta che sconfigge ogni tentativo di classificazione” scrisse Richard Ford nella prefazione al libro. Nella zona residenziale di Revolutionary Hill vive la famiglia Wheeler, formata da April, Frank e due bambini piccoli; la loro è una vita apparentemente tranquilla, che si snoda tra lavoro, incontri con i vicini e passatempi; ma pian piano la giovinezza che svanisce, le frustrazioni, la fatica del lavoro e del tenere intatta l’unità familiare, i litigi, le accuse e la fine di progetti futuri frantumano la loro realtà, prima in modo graduale e poi sempre più veloce, violento, tragico. Yates ci racconta il mondo grigio e triste delle aree suburbane, monotone zone cuscinetto tra la vita essenziale della campagna e quella più eccitante e ricca di possibilità della città. Tutti i personaggi che compaiono nel romanzo non hanno un’idea precisa di chi siano veramente, seguono una sorta di tracciato fatto di convenzioni, abitudini, disimpegno e culto del denaro. Allora cosa può salvarli? Cosa in fondo salva tutti noi, cosa potrebbe tenere insieme il tessuto così da poter vivere senza cadere a pezzi? Yates ci fa capire che ci vuole qualcosa in più che i protocolli standard di sussistenza, come l’ufficio, la promozione, i rapporti con i colleghi, finanche il matrimonio in quanto tale, perché prima o poi portano alle stesse pose di controllato collasso dei suoi personaggi. Dunque Revolutionary road “guarda verso di noi con sguardo smaliziato e ammonitore e ci invita a fare attenzione, a stare all’erta, a badare bene e a vivere la vita come se avesse importanza quello che facciamo poiché fare di meno mette in pericolo tutto quanto”.
“Cate, io” di Matteo Cellini
Il sorprendente esordio di Matteo Cellini, Premio Campiello Opera Prima, racconta una storia che è al tempo stesso dura e lieve, leggera e profonda, crudele e tenera. Vive sui contrasti, le differenze, gli opposti. Caterina, la protagonista, è un’adolescente obesa la cui unica normalità è tra le mura di casa, nella sua famiglia di obesi. Ma appena varca il portone e si affaccia nel mondo esterno, si trasforma in una supereroina che porta avanti la sua guerra quotidiana contro tutti, in cerca di salvezza, di invisibilità; diventa Cater-pillar, Cate-ciccia, con il suo costume indosso, un panneggiato, indolente, fluttuante manto di grasso. “Sono la possibilità ambulante di un paragone che salva; che toglie dalle mani la palma della più brutta, della più grassa, della più sola”. La sua voce intensa e autentica ci fa entrare nei suoi pensieri, scoprire le sue armi – l’intelligenza, il sarcasmo, l’autoironia –, stringerci con lei dentro la sua corazza difensiva. Ma la rinascita e la libertà arrivano aprendo la porta agli altri, perché a volte siamo molto di più di ciò che decidiamo di essere e il mondo non è sempre così crudele come temiamo. È un libro sulla crescita, la diversità, il cambio di prospettiva, le relazioni umane. E come Salinger che a più di trent’anni riuscì a immedesimarsi nella voce e nei pensieri dell’adolescente Holden creando un personaggio unico e indimenticabile, così Matteo Cellini a trent’anni è stato capace di raccontare la vita di un’adolescente diversa con rispetto e straordinaria sensibilità, un’eroina coraggiosa in cerca del suo posto nel mondo.