Partendo dal presupposto che ogni selezione può essere fallace proprio perché si fonda su una scelta arbitraria e un gusto soggettivo, proviamo a rendere omaggio ad alcuni tra i migliori esordi narrativi degli ultimi anni; una sorta di ritorno alle origini, a quando tutto è cominciato per alcuni scrittori, divenuti poi apprezzati protagonisti del panorama editoriale. Al centro di questa prima “puntata” ci sono le donne: tra tante straordinarie scrittrici, ne sono state scelte quattro che hanno rivelato dal loro primo romanzo un talento maturo e cristallino e uno stile innovativo. Ecco quattro storie toccate dalla grazia:
Rosella Postorino “La stanza di sopra” (Neri Pozza)
Rosella Postorino non ha neanche trent’anni quando esordisce come scrittrice ed è subito finalista al Premio Strega. Un romanzo potente e lacerante: racconta di Ester, un’adolescente abbandonata a se stessa che vaga in una casa in cui tutto è buio e fermo, schiacciato dal silenzio del padre malato e dalla stanchezza rassegnata della madre. Intrappolata in un’età di confine, in una provincia indolente, in una casa con una stanza al piano di sopra dove suo padre vive immobile da quando lei aveva cinque anni – una stanza che non riesce a varcare se non quando lui dorme –, con un’amica a cui può raccontare tutto tranne l’unica storia importante, Ester cerca, senza quasi saperlo, qualcosa che spezzi l’incantesimo di quel suo mondo bloccato e asfissiante, passando il tempo fuori, a fumare, a baciare ragazzi. In questo primo romanzo, la Postorino anticipa alcune tematiche che diventeranno ricorrenti nella sua narrativa: il corpo come linguaggio, la precarietà genitoriale, l’anoressia patologica e verbale, la solitudine. Una storia di rabbia, impotenza e dolore raccontata attraverso una scrittura gonfia, strabordante, la cifra stilistica del suo essere narratrice, sintetizzata perfettamente nella sua frase “Ognuno scrive come vuole, anzi ognuno scrive come è”.
Daisy Johnson “Nel profondo” (Fazi)
Con il suo romanzo d’esordio, Daisy Johnson a soli ventotto anni è stata la più giovane finalista in assoluto del Brooker Prize, il più prestigioso premio britannico. È la riscrittura in chiave moderna e femminile del mito di Edipo, il figlio di Laio re di Tebe e di Giocasta, che per quanto cerchi di sfuggire all’oracolo che vuole che uccida il padre e sposi la madre, soccomberà sotto il proprio destino. Come ha spiegato la stessa scrittrice in un’intervista, ha voluto prendere una storia archetipica così radicata nella nostra cultura occidentale e nella nostra coscienza, farla a pezzi e ricostruirla; un mito che ha un senso di inevitabilità stimolante per un narratore e soprattutto una storia tenebrosa, oscura. Al centro ci sono le donne, che invece nel mito non parlano molto: attraverso di loro vengono affrontati temi eterni come il dolore della memoria, l’irresponsabilità di alcune scelte e la tragica ineluttabilità del destino. Gretel è cresciuta con la madre su una casa galleggiante ormeggiata tra i canali dell’Oxfordshire. Una vita libera, ribelle e selvaggia, un rapporto affrancato da luoghi comuni e sentimenti scontati. Un giorno sua madre scompare, dopo aver lasciato la figlia adolescente alla fermata dell’autobus. Gretel impara a cavarsela da sola e a convivere con l’abbandono, anche se ogni tanto cerca di avere notizie di quella madre stravagante sparita nel nulla girando tra ospedali e obitori. Dopo ben sedici anni, arriva una strana telefonata e la possibilità di ritrovarsi; dietro i fantasmi e i segreti di famiglia (chi erano davvero sua madre e Marcus, il bizzarro ragazzo che avevano ospitato sulla barca, braccato da una profezia?), si snoda il percorso di due donne che cercano di ricostruire il loro rapporto.
Anna Giurickovic Dato “La figlia femmina” (Fazi)
Anche Anna G. Dato ha solo ventotto anni quando esordisce con questo romanzo duro e sorprendente, sensuale e ambiguo. Ambientato tra Rabat e Roma, il libro racconta un’inquietante storia familiare, in cui il rapporto tra Giorgio e sua figlia Maria nasconde un segreto inconfessabile. A narrare tutto in prima persona è però la moglie e madre Silvia, incapace di comprendere le vere dinamiche di quel legame e di riconoscere la malattia di cui soffre l’uomo. Maria non riesce a dormire la notte, rinuncia alla scuola e alle amicizie, si rivolta continuamente contro la madre, cresce dentro un’atmosfera di sospetto e solitudine, mentre si fa via via più chiaro l’intreccio psicologico della vicenda e la consapevolezza dell’incapacità degli adulti di proteggere i propri figli. Quando madre e figlia si trasferiscono a Roma, Silvia si innamora di un altro uomo e le pagine che raccontano il pranzo organizzato dalla donna per far conoscere il nuovo compagno a Maria sono straordinarie e ipnotiche, un capolavoro nel capolavoro. È sorprendente l’abilità dell’autrice di mettere in discussione ogni nostra certezza: chi è colpevole e chi è innocente? Chi è il carnefice e chi la vittima? O forse le vittime sono al contempo carnefici e gli innocenti sono pure colpevoli. È un romanzo potente che àncora il lettore alle pagine e che non si dimentica, il gioiello di una scrittrice tanto giovane quanto matura e consapevole del suo talento.
Donatella Di Pietrantonio “Mia madre è un fiume” (Elliot)
Folgorante il romanzo d’esordio della scrittrice abruzzese, merito di una storia emozionante e insolita e di una scrittura asciutta e tagliente che arriva dritta al cuore. L’Abruzzo raccontato in queste pagine è una terra antica, luminosa e aspra, lontana nel tempo; un mondo fatto di affetti ruvidi, di donne sottomesse, del duro lavoro nelle campagne, ed è su questo sfondo che viene narrato un indissolubile rapporto tra una madre e una figlia che oscilla tra amore e odio, nostalgia e rifiuto. Una madre, ormai anziana, mostra i primi segni della malattia che le toglie i ricordi, l’identità, il senso stesso dell’esistenza, e una figlia che deve prendersi cura di lei e aiutarla a ricostruire la loro storia. È l’esplorazione di due vite che si rincorrono tra ricordi e tradizioni, tra il dolore del passato e le difficoltà del presente, che si riscoprono prostrate dalla fatica di parlarsi ma spinte dal desiderio di ascoltarsi. La prosa, scarna e ruvida e per questo intensa, dà voce alla sofferenza di una donna che, dopo avere implorato inutilmente le attenzioni di sua madre, si impone di allontanarsi da lei, ma di fatto ne è incapace e continua nostalgicamente a cercarla.
“Mia madre è un fiume, mia madre era un albero, ho avuto la sua ombra. Mia madre era una piccola farfalla dal corpo tozzo, con le ali corte e il volo a scatti. Sognavo di poter toccare la sua povera bellezza. È stata il principio di tutti i miei desideri, la madre di ogni solitudine”.