Trieste. Si riapre il caso di Liliana Resinovich, la 63enne scomparsa il 14 dicembre 2021 e rivenuta priva di vita il 5 gennaio 2022, nella zona dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni.
La nuova perizia medicolegale, affidata a Cristina Cattaneo, Stefano Tambuzzi, Stefao Vaniv e Biagio Eugenio Leone e consegnata martedì 4 marzo alle parti coinvolte, sembrerebbe escludere in via definitiva l’ipotesi del suicidio (originariamente avanzata dalla Procura che, nel 2023, aveva richiesto l’archiviazione del procedimento, non concessa dal gip Luigi Dainotti, che ha anzi disposto la prosecuzione delle indagini) e confermerebbe che la donna sia stata uccisa il giorno stesso della sua scomparsa.
Nelle dichiarazioni rilasciate a “TeleFriuli”, l’avvocato Federica Obizzi, legale della famiglia Resinovich, ha confermando che il testo dell’elaborato peritale, composto da circa 200 pagine, propone “conclusioni molto lunghe e articolate”, facendo appunto riferimento a un decesso dovuto “all’intervento di terzi”.
Il medico legale Raffaele Barisani, consulente di parte nominato dai difensori di Sebastiano Visintin, marito di Liliana, ha ribadito a sua volta quanto già sostenuto nelle prime analisi risalenti al 2022: “Una morte per mano di terzi nel giorno della scomparsa e non suicidaria”. A fronte dei nuovi elementi emersi, ha precisato Barisani, molte delle conclusioni cui la nuova perizia oggi perviene coinciderebbero con quelle formulate precedentemente.
In ogni caso, lo scenario prospettato dall’elaborato peritale reso noto ieri rende necessario formulare e percorrere nuovi scenari di indagine. Secondo indiscrezioni raccolte dal quotidiano Il Piccolo, la morte di Liliana sarebbe da attribuirsi ad asfissia meccanica per compressione sulla parte anteriore del corpo. In tema di possibile dinamica dell’evento, si ipotizza che Liliana sia stata aggredita alle spalle e posta quindi nell’impossibilità di reagire. Colpita al volto, sarebbe stata quindi strangolata, con un brusco un movimento di torsione del collo, idoneo a causare anche la frattura di una vertebra.
Dopo l’aggressione omicida, databile come detto al giorno della scomparsa, il corpo della donna potrebbe essere stato nascosto e infine abbandonato nel boschetto in cui è stato ritrovato. Al momento del rinvenimento, il cadavere risultava collocato in due grandi sacchi neri di plastica. Sulla testa, due ulteriori sacchetti, fissati al collo con un cordino.
La nuova perizia ha confermato quanto da più parti si sospettava fin dall’inizio. L’auspicio è quello che, a più di tre anni dai fatti, ora si possa finalmente iniziare a investigare utilmente sul caso. Secondo quanto riportato sul Piccolo, sarebbe imminente l’iscrizione di alcune persone nel registro degli indagati.
“C’è tanta desolazione e c’è tanta amarezza alla luce di questo risultato, perché per affermare l’evidente abbiamo dovuto impiegare oltre tre anni. Adesso siamo sicuri che inizierà nuovo corso e che Lilly, questa donna che è stata in molti momenti un po’ maltrattata perché si pensava fosse squilibrata, è stata invece oggetto di una brutale aggressione”, questo il commento dell’avvocato Nicodemo Gentile, che assiste Sergio Resinovich, fratello di Liliana. “Siamo però fiduciosi e siamo sicuri che il tempo perso sarà recuperato dagli importanti professionisti della Procura e che presto avrà un nome e un cognome chi l’ha bestialmente aggredita”, ha concluso il legale, presidente dell’Associazione Penelope.