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Trivelle nell’Adriatico, Legambiente dice no: privilegi oil and gas costosi, il futuro è nelle fonti rinnovabili

Redazione Cronaca di Redazione Cronaca
21 Febbraio 2019
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Pescara. Ferma contrarietà di Legambiente alle trivelle nell’Adriatico. E’ totalmente anacronistica la difesa dei vecchi privilegi Oil and Gas, perché la priorità su cui si deve concentrare la politica è la decarbonizzazione dell’economia, con il taglio dei 16 miliardi di euro di sussidi annuali alle fonti fossili e la riconversione del settore energetico.

L’associazione ribadisce la necessità che il governo presenti al più presto un piano energetico nazionale per il clima e l’energia, che definisca un percorso ambizioso e concreto, e sottolinea la necessità che anche le Regioni e i Comuni interessati dalle attività estrattive si impegnino nella richiesta di un cambio di rotta. La strada da percorrere per tutelare davvero i lavoratori dell’industria oil and gas e dell’indotto è la riconversione del settore nelle fonti rinnovabili.

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“Riorganizzare il comparto”, spiega il presidente di Legambiente Abruzzo, Giuseppe Di Marco, “significa anche andare a vedere quanti soldi vengono destinati alle compagnie che estraggono idrocarburi per mantenere un modello non più sostenibile. Al centro del sistema energetico del nostro Paese vige ancora una dittatura delle fonti fossili da cui è urgentissimo uscire per arrestare i cambiamenti climatici ma anche per ridurre e combattere l’inquinamento atmosferico, migliorare la qualità di vita dei cittadini e dare vero lavoro pure agli abruzzesi.”

L’Italia, socondo l’Ocse, è un Paese che produce piccoli volumi di gas naturale e petrolio e che, come ricordato da dati storici prodotti dal Ministero dello Sviluppo Economico nei nostri fondali marini ci sono 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe, che stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane, mentre quelle di gas a mare coprirebbero un fabbisogno di circa 6 mesi. E se si attingesse anche alle riserve di petrolio presenti nel sottosuolo, concentrate soprattutto in Basilicata, le riserve di greggio a mare e a terra verrebbero consumate in appena 13 mesi.

Per quanto riguarda nello specifico il settore delle trivellazioni,  in Italia è ampiamente favorito da meccanismi fiscali, che sia l’Ocse che la Banca Mondiale chiedono di cancellare, in quanto abbattimento dei costi di produzione che ricadono su tutti i cittadini.

Nel nostro Paese le aziende estrattive a mare non pagano royalty (10%) entro 80.000.000 Smc (metri cubi standard), e entro 50.000 tonnellate di petrolio (7%), mentre a terra non si pagano le royalty (10%) entro 25.000.000 Smc e entro 20.000 tonnellate petrolio (10%). Questo comporta, come rilevato ad ultimo nel 2015 dalle associazioni che: su 123 concessioni operanti delle 202 presenti in terra e in mare in Italia solo 30 superavano la franchigia oltre la quale si dovevano versare le royalty e che tra il 2017 e i primi tre trimestri del 2018 la franchigia è stata applicata solo al 27% della produzione italiana di gas offshore e al 22% circa della produzione offshore di petrolio.

Inoltre, il settore gode anche di incentivi per le ricerche di prospezione e per la coltivazione dei cosiddetti giacimenti marginali e agevolazioni sul gasolio utilizzato nelle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi. Si aggiunga poi che il costo annuale delle concessioni nel nostro Paese, prima dell’aumento di 25 volte previsto nel decreto semplificazioni era di circa 100/200 volte inferiore a quello applicato in Olanda per le attività di prospezione e ricerca e di circa 12 volte per le concessioni produttive. Il prelievo fiscale su queste attività si aggira tra il 50 e il 68%, quando in Norvegia (maggiore produttore europeo di idrocarburi) si aggira attorno al 78% e nel Regno Unito tra il 68 e l’82%.

In Italia il futuro è rinnovabile perché, nonostante la contrazione degli incentivi (che ha portato un taglio netto di 2 miliardi circa tra il 2016 e il 2017, da 14,4 mld del 2016 ai 12,5 mld del 2017), il GSE/Gestore dei Servizi Energetici registra nel 2018 la performance molto positiva delle fonti rinnovabili che già nel 2015, con il raggiungimento di una quota del 17,7%, ha consentito di raggiungere e superare, con 5 anni di anticipo, il target al 2020 del 17% di penetrazione sui consumi energetici complessivi, mentre le rinnovabili coprono già il 31% del consumo interno lordo di energia elettrica 2017. Un settore in pieno sviluppo quelle delle rinnovabili e dell’efficienza energetica in Italia nel quale nei prossimi anni si prevedono investimenti per 145 miliardi di euro, come attesta la SEN 2018.

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