Sulmona. Si è svolta questa mattina la consueta cerimonia commemorativa in suffragio dei caduti di tutte le guerre e su tutti i fronti presso il Sacello Militare di Santa Maria degli Angeli a Badia di Sulmona. A promuovere l’annuale iniziativa è Donato Agostinelli, ufficiale dell’arma dei Carabinieri, delegato provinciale dell’Aquila dell’istituto nazionale per la guardia d’onore alle Reali tombe del Pantheon, che da dieci anni custodisce con grande impegno e dedizione il Sacello militare. La cerimonia è stata preceduta dalla Santa Messa officiata nella Chiesa della Santa Famiglia in Badia da Don Giacomo Tarullo il quale, nella sua omelia, ha sottolineato che essere cristiani significa essere dei buoni cittadini e interrogandosi sul significato del 4 novembre, giornata dell’unità nazionale e delle Forze Armate, giunge alla conclusione che questa debba essere una festa di pace, valore che ognuno è tenuto a donare agli altri. Al termine della santa messa, si è mosso il corteo, con una nutrita partecipazione di popolazione, preceduto dalle autorità, alla volta del vicino sacello militare, sito nella chiesetta di Santa Maria degli Angeli, lungo la strada che conduce a una delle più importanti aree archeologiche d’Abruzzo con il Santuario di Ercole Curino e, arroccato sulle pendici della montagna, il suggestivo Eremo di Celestino quinto. Dinanzi al sacello si è svolta la cerimonia commemorativa in suffragio dei caduti con l’alzabandiera sulle note dell’inno nazionale e gli onori ai caduti, con la deposizione di una corona di alloro sull’altare del Sacello. Agostinelli, nel suo discorso, ha ricordato il centenario della tumulazione del milite ignoto nell’altare della patria, ripercorrendone la storia, nel 1921, quando l’allora ministero della guerra dette l’incarico ad un’apposita commissione di esplorare tutti i luoghi nei quali si era combattuto e di scegliere una salma ignota e non identificabile per ognuna delle zone del fronte. Undici salme, delle quali una sola sarebbe stata tumulata a Roma al Vittoriano, furono trasportate nella basilica di Aquileia. Qui venne operata la scelta tra undici bare identiche. A guidare la sorte fu chiamata una popolana di Trieste, Maria Bergamas, il cui figlio Antonio – disertore dell’esercito austriaco e volontario nelle fila italiane, era caduto in combattimento senza che il suo corpo potesse essere identificato. Maria venne chiamata “la madre d’Italia” mentre lei avrebbe voluto essere semplicemente la madre del proprio figlio vivo. Il feretro prescelto fu trasferito a Roma su ferrovia, con un convoglio speciale a velocità ridotta, ricevendo gli onori delle folle presso ciascuna stazione e lungo gran parte del tracciato. Fu un viaggio che cento anni fa unì l’Italia, perché ogni famiglia italiana aveva avuto un morto in guerra e lungo i binari delle ferrovie a rendere omaggio alla salma, madri, mogli, fidanzate, sorelle che avevano perso i loro cari caduti in guerra, piangevano prostrate al passaggio della salma. Il milite ignoto, aggiunge Agostinelli, divenne il simbolo del dolore di tutti gli italiani a causa della guerra che per sua stessa natura è assurda. Al termine del suo discorso, Agostinelli ha ringraziato sentitamente la popolazione locale e le associazioni di volontari delle frazioni per il supporto a lui dato nella cura del sacello e per aver compreso il vero senso del sacrificio dei soldati caduti, elogiandone il senso di solidarietà e di unione.