Roma. Dall’inizio del 2024, se ne sono registrati 29, in media quasi uno ogni tre giorni. Per fronteggiare il drammatico fenomeno dei suicidi in carcere, il ministro Carlo Nordio ha annunciato di aver sottoscritto un decreto che prevede, per l’anno in corso, l’assegnazione di cinque milioni di Euro all’amministrazione penitenziaria per un potenziamento dei servizi di assistenza psicologica nelle carceri.
“Per il potenziamento dei servizi trattamentali e psicologici negli istituti”, sono le parole del Guardasigilli riportate dall’Ansa, “è previsto il coinvolgimento di esperti specializzati e di professionisti esterni.”
Un impegno teso quindi a “migliorare le condizioni detentive negli istituti penitenziari anche in vista di un intervento più strutturato e duraturo nel tempo, da proporre come priorità nella prossima legge di bilancio”.
E il sottosegretario Andrea Ostellari spiega che fino al gennaio scorso i professionisti impegnati a monitorare i detenuti e accompagnarli nel percorso di rieducazione, “ricevevano una retribuzione lorda di 17 euro l’ora, ma da febbraio il compenso lordo è salito a più di 30 euro. A spesa invariata, ciò avrebbe comportato una riduzione delle prestazioni erogate. Per questo il ministero della Giustizia è intervenuto.”
Il provvedimento è stato accolto con favore anche dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo, che lo ha definito un “importante pezzo del puzzle che si sta via via componendo per migliorare la condizione degli oltre 61mila detenuti presenti nelle nostre carceri.”
Secondo le opposizioni, la misura del governo risulta invece insufficiente. I Radicali obbiettano che “si spaccia per potenziamento dei servizi trattamentali e psicologici una mancia che serve solo per gestire l’ordinario, al posto di urgenti riforme strutturali.”
Il ministro Nordio ha più volte ribadito la diretta, stretta correlazione tra l’aumento dei suicidi in carcere e il sovraffollamento delle strutture penitenziarie, la disattenzione e le problematiche psichiche di alcuni soggetti. Da qui l’impegno ad affrontare il problema della ricerca di nuovi spazi in un’ottica più ampia, anche prospettando accordi con Stati africani per il trasferimento dei detenuti stranieri dalle carceri italiane nei loro Paesi d’origine. Ciò sulla scia di una analoga intesa stipulata di recente con la Romania. Il tutto si inscrive nell’ambito del cosiddetto piano Mattei, in cui sarebbero coinvolti in pima fila Palazzo Chigi e il Maeci.
Si ipotizza, tra l’altro, di costruire o fornire significativi contributi per la realizzazione di carceri in alcuni Paesi del Maghreb, insieme alla diffusione di know how per il personale penitenziario ed all’incremento della lotta alla criminalità organizzata.
Il programma, ancora allo stato embrionale e legato – per la sua concreta realizzazione – alla futura stipula di accordi con singoli Paesi, prevede che il detenuto continui a scontare la pena nel proprio Stato, garantendo il rispetto dei suoi diritti e adeguati standard qualitativi delle strutture penitenziarie ospitanti. Sarà inoltre necessario affrontare la questione del consenso del detenuto stesso al trasferimento.
“Sono anni che se ne parla e non si arriva mai a nulla, come per l’edilizia penitenziaria”, evidenzia il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella. “Nessun Paese vuole indietro i detenuti in quanto ciò produce costi elevatissimi. E anche se si stipulassero accordi di questo tipo, come è accaduto in passato, è molto probabile che restino sulla carta. Occorre infine considerare che in molti casi queste persone hanno una famiglia in Italia, e sono aspetti da valutare prima di trasferire forzatamente una persona in un altro Paese.”