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Stop alle esercitazioni militari nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il WWF: un pugno al cuore

Giulia Antenucci di Giulia Antenucci
4 Luglio 2019
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L’Aquila. Stop alle esercitazioni militari nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Parola del WWF Abruzzo Montano che, nella giornata odierna, ha presentato le osservazioni in contrarietà alla Istanza di Valutazione di Incidenza Ambientale proposta, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 357, dell’8 settembre 1997, dal Comando Militare Esercito Abruzzo, relativa alle attività addestrative da svolgersi nell’abitato dell’Aquila, in località Collebrincioni, su una parte del Monte Stabiata, tra la frazione aquilana e i cosiddetti “Coppi di Aragno”, la montagna a sud di San Pietro della Jenca.

“Il Comitato di Coordinamento Regionale per la Valutazione d’Impatto Ambientale”, si legge nella nota, “istituito presso la Regione Abruzzo, è chiamato ad emanare un parere di importante rilievo avverso tale istanza, visto che detta zona ricade
interamente nella Zona di Protezione Speciale (ZPS IT7110128) “Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga” ed è inclusa interamente nell’omonimo Parco Nazionale.

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“E’ un fortissimo pugno all’occhio, oltreché al cuore, vedere un luogo incantato come quello distrutto dalla noncuranza con cui l’uomo lo ha utilizzato in questi anni”, commenta il presidente dell’O.A. WWF Abruzzo Montano, Antonello Santilli, “ciò che non si riesce proprio a capire è come in un territorio tutelato dal Parco Nazionale, parte integrante della Rete Natura 2000, interessato dal corridoio ecologico dell’orso bruno marsicano, luogo di pascolo per gli animali, habitat naturale del lupo e dell’aquila reale, possano essere permesse esercitazioni belliche, altamente impattanti ed inquinanti”.

“In quei luoghi l’attività addestrativa va avanti dal lontano 1957”, precisa Santilli, “pur se solo ora il Comando Militare si è deciso ad intraprendere l’iter burocratico autorizzatorio necessario per il suo esercizio, provocando la radicale trasformazione dei prati solcati dai mezzi militari in lungo e in largo e un alto tasso di inquinamento da piombo ed altri metalli pesanti, con grave danno per la flora e la fauna presenti sul territorio”.
“Quello che poteva essere consentito negli anni ’50 e ’60”, conclude, “quando non vi era una coscienza ambientalista nel nostro Paese, oggi non può essere più permesso e le autorità preposte al controllo del territorio hanno il dovere di intervenire per recuperarlo e riqualificarlo, ripristinando l’ambiente naturale preesistente allo stato di degrado, eliminando i detrattori ambientali ed i fattori inquinanti con un intervento mirato di bonifica e risanamento ambientale e tutelando le matrici autoctone della vegetazione e del suolo”.

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