L’Aquila. Tra i 35 e 66 anni, in prevalenza donne, per lo più dipendenti pubblici o privati, residenti in maggioranza nell’area della costa abruzzese. Questo, in sintesi, il profilo dell’utente che si rivolge allo “Sportello Mobbing e stress lavoro correlato” della Asl Avezzano Sulmona L’Aquila.
Il servizio, attivo dal 2015 all’ospedale San Salvatore dell’Aquila, unica struttura di riferimento tra le Asl della Regione, è diretto dalla dott.ssa Leila Fabiani e si avvale di un team professionale formato da medico competente, psicologo e psichiatra.
La fascia più esposta è quella tra 45-55 anni. Le donne sono più colpite dal mobbing per via delle molestie sessuali.
Al servizio di L’Aquila, ubicato nei pressi del punto informazioni dell’ospedale, affluiscono dalle 6 alle 8 persone al mese ma le richieste di aiuto, soprattutto dalla costa, sono tante e in continua crescita.
Gli episodi di mobbing riguardano, nella maggior parte dei casi, dipendenti sia del settore pubblico sia di quello privato, che sul luogo di lavoro diventano vittime del proprio capo o di un collega che attuano diverse tipologie di vessazioni che possono sfociare nel licenziamento o nelle dimissioni.
Per accedere allo sportello anti mobbing (informazioni allo 0862/368295) occorre l’impegnativa del proprio medico di famiglia.
Il percorso di valutazione diagnostica, che dura circa due mesi, prevede un colloquio preliminare (gratuito) col medico di medicina del lavoro, dott.ssa Roberta Martinelli, e due visite successive, una con la psicologa, dott.ssa Enrica Strippoli, l’altra con lo psichiatra, dott. Paolo Mattei.
Se viene accertato un caso di mobbing effettivo sul lavoro, lo sportello rilascia una certificazione della diagnosi con cui l’utente potrà far valere i propri diritti tramite il giudice del lavoro o l’Inail, come tutela del lavoratore dalla malattia professionale causata da stress lavoro correlato.
Quali sono le modalità con cui viene esercitato il mobbing?
“Si va dalla violenza psicologica, con rimproveri e minacce, all’assegnazione di compiti dequalificanti, al demansionamento, in alcuni casi all’isolamento o al controllo esasperato”, dichiara la psicologa Strippoli.
“Parlando di mobbing si pensa sempre a un capo ‘cattivo’: la realtà è che invece, molto spesso, a vessare l’utente è un collega di pari grado che in quel momento”, conclude la psicologa, “ha però un potere rispetto alla vittima”.
E’ possibile scaricare la video intervista alla dott.ssa Strippoli al seguente link: https://we.tl/t-q4FPOBT5ji