Pescara. L’odio social non è reato. Frasi del livello di “dovrebbero violentare te e tutta la tua famiglia”, condite da insulti come “bastarda” e da apprezzamenti sessisti sulle figlie, sono “sicuramente inurbane e molto maleducate ma non possono integrare la diffamazione”.
Su questa base la procura di Torino ha chiesto di archiviare un fascicolo originato dalla denuncia di una ex consigliera regionale del Pd, Nadia Conticelli, oggi capogruppo dem nel Consiglio comunale del capoluogo piemontese. Verso la fine di agosto del 2018 la donna aveva pubblicato su Facebook un commento alle notizie di uno sbarco di profughi dalla Libia che cominciava così: “Spero che Salvini vada in galera e ci resti per un po’”.
Il post era stato ripreso da un esponente leghista locale: ‘Cosa le rispondiamo?’. Ed era partita la raffica di insulti.
“Con rabbia incredula – scrive Conticelli in una lettera aperta – scopriamo che gli insulti sessuali rivolti alle donne sono questione di ‘educazione’ e non un reato”. Via social, Laura Boldrini manifesta solidarietà alla consigliera e aggiunge che “l’odio va fermato, non giustificato”. “Bisognerebbe – osserva Paolo Furia, segretario del Pd piemontese – che l’hate speech’ fosse punito anche in Italia”. In realtà dopo una meticolosa indagine della Digos, la procura subalpina era partita a passo di carica e inviato un avviso di chiusura indagini a sei persone, tre donne e tre uomini. Poi c’è stato un ripensamento. L’avvocato di una delle indagate aveva ammesso l’episodio “tristissimo e desolante” facendo però presente che “interagire sui social implica l’eventualità di incorrere in discussioni accese”. Ma dietro la richiesta di archiviazione (che a Torino non è la prima per casi del genere) ci sono, da parte della procura, alcune considerazioni giuridiche. In primo luogo, l’ingiuria è stata depenalizzata. Poi ci sono i distinguo sul reato di minacce: scrivere “nel 2020 ti metteremo in un campo di concentramento con i tuoi negri…” è irrealizzabile e quindi giuridicamente privo di carattere minatorio. Infine c’è una giurisprudenza che, lentamente, sta cominciando a prendere forma. Nel 2021 la Cassazione ha stabilito che non c’è diffamazione se la persona insultata sta partecipando alla discussione e ha rimandato alla Corte di appello di Catanzaro gli atti di un processo che vede come parte lesa l’esponente pentastellato Nicola Morra.