L’Aquila, quella mattina, non era più la città caotica invasa da traffico, impiegati con la borsa che escono dagli uffici e studenti che percorrono i vicoli del centro storico, ma un deserto di macerie attraversato da gente in pigiama, con una sola pantofola, persone scioccate senza una meta e con le piazze invase da anziani seduti sulle panchine e avvolti da grigie coperte.
La prima impressione che ho avuto, la più sconvolgente, è che non tutti fossero ancora intimamente consapevoli di ciò che era accaduto. E’ come se quella distruzione fosse, in fondo, una sorta di inattesa normalità. Il volto degli anziani per strada e i loro occhi tersi ma segnati dal tempo sembravano capaci di sopportare un evento simile. La loro voce apparentemente rassegnata, ma in realtà forte e gentile, caratterizzata da un inconfondibile accento aquilano era scandita da concetti chiari e concreti, argomentazioni ripetitive e ovvie, come il canto dei passeri al mattino. «Non abbiamo più niente, ma siamo vivi», la frase più ricorrente. Più irrazionale la reazione dei giovani. Poche lacrime, poche parole, e sul volto lo sguardo della paura.
Quella notte lo scossone ha messo fuori uso gli impianti elettrici del centro e i cellulari hanno smesso di funzionare. E solo sapere la sorte dei propri cari o di un amico, è diventato impossibile.
I primi soccorsi arrivano proprio da chi il sisma lo ha subito. Si inizia a scavare tra i frantumi delle proprie case. Molta gente viene fuori dalle macerie. C’è chi riesce a liberarsi da solo sollevando pietre e cemento. Una donna resta appesa alla rete del letto, penzolando nel vuoto da 15 metri, dopo il crollo del solaio del suo appartamento al quinto piano, fino a quando alcuni giovani non l’aiutano a scendere. Sono centinaia le storie incredibili, decine i salvataggi miracolosi. C’è chi riesce a fuggire facendosi largo tra le pareti di mattoni forati che si staccano dalle colonne portanti. C’è chi tenta di scendere dal balcone perché le scale sono crollate. E c’è chi non ce l’ha fatta. Alcuni fuggendo precipitano nella tromba delle scale perché a causa del buio non si accorgono che le rampe sono sprofondate. C’è chi si copre la testa con il cuscino, ma viene travolto da massi, travi e detriti. E c’è chi prova a fuggire ma rimane schiacciato dalle pareti.
I feriti più fortunati, invece, riescono a raggiungere il pronto soccorso. Sono centinaia ma anche l’ospedale è crollato. E’ difficile ricevere le cure. E’ una situazione peggiore delle guerra. Il terremoto non ha risparmiato neanche i punti sensibili e neutrali, come avviene in guerra. Sono bastati venti interminabili secondi a distruggere secoli di storia. Alle 3.32 di lunedì 6 aprile la città è colpita da un terremoto di 5,8 gradi della scala Richter, 6,2 della scala momento. Muoiono 302 persone, tra cui 20 bambini, i feriti sono più di 1.500, di cui 100 gravissimi, gli sfollati oltre 60mila. La scossa sismica ha causato il crollo totale o parziale di centinaia di edifici in tutto il territorio, ma in particolare quelli del centro storico dell’Aquila e di alcune frazioni. Danni sono stati registrati in tutta la Provincia, nella Marsica e nella Valle Peligna. Gran parte del patrimonio storico architettonico della città è andato distrutto e decine di chiese in tutto l’entroterra abruzzese sono inagibili. In 20 secondi un danno patrimoniale di oltre tre miliardi e mezzo di euro. Una notte da incubo, interminabile. Poi la città, con la luce del sole, si trasforma di nuovo, cambia ancora volto. Le scene surreali, alle prime ore dell’alba, prendono le sembianze di una tragedia di Stato. Cadono i simboli istituzionali della città. La Prefettura è distrutta, la Questura presenta grossi danni, i palazzi della politica sono devastati, ma regna la confusione e si procede nei soccorsi in modo quasi rocambolesco. La distruzione è diffusa e il territorio colpito dal sisma troppo vasto rispetto ai soccorsi disponibili in zona. Le vie di comunicazione sono bloccate e la gran parte delle forze ufficiali di soccorso ancora non riescono a raggiungere le zone terremotate.
Arrivano i primi soccorsi degli organi ufficiali e poi centinaia di volontari da ogni angolo della Regione. Si scava ancora con le mani. Per l’arrivo delle ruspe sarà necessario attendere ancora. Piazza Duomo diventa un accampamento. C’è gente sdraiata sul marmo, anziani e invalidi su sdraio sistemate intorno alla fontana. Piazza d’Armi diviene un teatro che rappresenta la realtà. Da un lato superstiti e feriti avvolti da coperte sporche di polvere. Dall’altro un palazzo a cinque piani crollato e vigili del fuoco impegnati a tirare fuori superstiti e morti. Intorno amici e parenti che assistono muti alle operazioni di salvataggio. Tante persone vengono estratte vive dalle macerie, c’è chi resta sotto i detriti per ore, giorni, e poi riesce a vedere di nuovo la luce. Una studentessa della facoltà di Medicina viene salvata dopo 23 ore, una ragazza di 21 anni dopo 42 e una 98enne di Tempera dopo 30 ore. Trascorre quelle interminabili ore lavorando all’uncinetto.
I simboli della quotidianità emergono dal cemento armato frantumato come sabbia di fronte alle onde del mare. Un peluche rappresenta lo stato d’animo di una città che non c’è più. Un cagnolino di pezza impolverato con lo sguardo triste e una macchia di sangue del suo padroncino che non c’è più sulla zampa. I ricordi di una vita, oggetti che raccontano con la loro desolante presenza una storia finita, una vita spezzata. Dalle prime ore della mattina inizia la fuga dalla città. C’è chi resterà nelle tende e chi sceglierà un’altra città dove vivere, lasciando dietro di sé i ricordi di una vita, l’infanzia trascorsa ai piedi del Gran Sasso, ma anche il terrore di un istante. C’è chi a L’Aquila tornerà, nonostante tutto e a tutti i costi.
Gli abruzzesi
Gli abruzzesi sono come i rami dei salici di fronte al vento forte: si adattano, si piegano ma non si spezzano. Quando tutto sembra ormai perduto, quando un uomo non può fare altro che rassegnarsi di fronte alla superiorità del destino, quando dalle montagne arrivano nuvole nere cariche di pioggia, e rivoli trasparenti attraversano le guance segnate dalla fatica, dall’orgoglio e dal vento freddo dell’inverno, solo allora inizia a battere il cuore abruzzese.
Quando le mani forti degli uomini tornano a stringere il manico dell’arnese da lavoro e le gentili labbra delle donne a pronunciare le parole della speranza e del coraggio, non ci sono devastazioni che tengano perché la ricostruzione è già cominciata.
Tornerà il sole e gli abruzzesi vedranno ancora una volta raggi di sole caldi e splendenti sorgere dalle montagne e illuminare di nuovo quei volti scavati dal dolore, asciugare quelle gocce di pioggia sulle guance segnate dalla fatica e dall’orgoglio abruzzese.
Ho visto negli occhi di un anziano in Piazza Duomo, mentre l’alba riaccendeva i colori dei pochi monumenti ancora in piedi, i ricordi di un vita lontana, la paura di un presente vicino, le speranze di un futuro possibile. E ho visto lo smarrimento di una realtà incomprensibile, ma anche la voglia di non cedere alla rassegnazione. Ho capito quella mattina che gli abruzzesi sono un popolo raggiante ma abituato a soffrire, sensibile ma coraggioso, umile ma orgoglioso, pacifico ma pronto a impugnare la armi quando c’è da combattere e gli arnesi quando c’è da lavorare.
Silvio Berlusconi
E’ stato accusato già dalle prime ore dopo il sisma di presenzialismo, esibizionismo e populismo, di aver montato un circo mediatico, di girare un reality tra le tendopoli, di essersi commosso ai funerali di proposito solo per ottenere consensi. Decine le critiche degli avversari politici: «non servono strette di mano e pacche sulle spalle», gli ripetono, «quando leverà le tende dall’Abruzzo e quando si spegneranno i riflettori serviranno atti concreti e non passeggiate tra le tendopoli». Ma il consenso del cavaliere continua ad aumentare. Alla fine, con la decisione del trasferimento del G8 dall’isola della Maddalena all’Aquila, anche le critiche si smorzano. Berlusconi continua infatti a partecipare agli incontri con i responsabili dei soccorsi e a incontrare, sempre più spesso, la popolazione colpita dal sisma tanto che, in meno di un mese, sono già dieci le visite ufficiali del premier all’Aquila, una media di oltre una volta ogni tre giorni. Berlusconi già dalle prime ore non sottovaluta l’accaduto e si precipita immediatamente in Abruzzo. E nei giorni successivi alla catastrofe, proprio mentre la moglie Veronica Lario dichiara pubblicamente di aver avviato le pratiche per il divorzio, Berlusconi continua a lavorare imperterrito, a decidere, a presiedere riunioni all’Aquila. Eppure, secondo gli avversari politici, si tratta di una farsa.
La ricostruzione
«Le prime case saranno consegnate a settembre». E’ questa, a un mese dal sisma, la promessa del presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Una promessa che arriva in occasione della sua decima visita in Abruzzo. Una ricostruzione veloce e senza tasse aggiuntive per gli italiani che hanno dimostrato una grande solidarietà con decine di milioni di euro donati solo nel primo mese dopo il sisma. «Io speriamo che me la cavo», dice Silvio Berlusconi parafrasando le parole dei bambini di Arzano raccontati dal maestro Marcello D’Orta, ma aggiunge, «e che Dio ci aiuti! Il dieci settembre», promette, «inizieremo a consegnare le case per i primi 13mila terremotati». L’annuncio arriva al termine di una riunione all’Aquila durante la quale vengono affrontate le questioni legate all’emergenza terremoto. «Cercheremo di abbreviare i tempi di consegna», aggiunge, «ma mettiamo in conto possibili ritardi».
Il decreto Abruzzo
Per chi ha la casa distrutta saranno concessi fondi affinché possa ricostruirla al cento per cento, 80 mila euro per quelle lesionate. E’ questo ciò che prevede, tra le altre cose, il decreto del Consiglio dei Ministri che si è tenuto il 28 aprile in forma straordinaria nell’aquilano, all’interno della Scuola sovrintendenti e ispettori della Guardia di Finanza di Coppito. Sono stati stanziati oltre otto miliardi di euro in tre anni per la ricostruzione dei paesi colpiti dal sisma. Nel dettaglio, circa sette miliardi di euro per la ricostruzione, e circa un miliardo e mezzo per la copertura delle emergenze. Molto difficoltoso fare un conto complessivo a causa della natura aperta del decreto che prevede ulteriori interventi. Tra le altre disposizioni ci sono la sospensione dei pagamenti di bollette, tasse, rate dei mutui e dei finanziamenti. Previsti indennizzi a favore delle attività produttive che hanno subito danni economici per effetto del terremoto, ma anche per le strutture adibite alle attività sociali, ricreative, sportive e religiose, come oratori e palestre. Le critiche al decreto hanno riguardato soprattutto il mancato risarcimento integrale dei danni del terremoti nei confronti dei privati. Infatti il tetto massimo spettante ai singoli cittadini per la prima casa inizialmente era di 150mila euro. Tale tetto viene però modificato e scatta il risarcimento integrale. Un terzo della somma dovrà essere coperta con un mutuo a tasso agevolato a carico del cittadino, un altro terzo dovrà essere anticipata dal cittadino che la recupererà non pagando le imposte per due decenni, e l’altro terzo infine sarà pagato direttamente dallo Stato.
L’inchiesta
Dopo il dramma del sisma, scoppia il terremoto giudiziario. La procura dell’Aquila, con lo scopo di dare risposte ai familiari delle vittime morte per il crollo di palazzi in cemento armato, ma anche per accertare come mai ospedale e tribunale si siano sciolti come neve al sole, apre un’inchiesta contro ignoti per omicidio e disastro colposo. Sott’accusa tecnici e materiali usati per la costruzione, ma soprattutto le procedure costruttive adottate nella realizzazione degli edifici crollati. Su 20mila edifici, la maggior parte dei quali in cemento armato, ne sono crollati dieci. Il 54,1 per cento di quelli danneggiati è agibile, il 16,2 temporaneamente inagibile, ma agibile con provvedimenti di pronto intervento e il 22,1 è inagibile. Le strutture pubbliche interessate dal sisma sono state 529, 36 gli ospedali, 104 le caserme, 413 le scuole e 973 le attività produttive.
La Casa dello studente
Quel palazzo di via XX Settembre 79, diviene il simbolo di una presunta corruzione che ricava interessi sulle spalle del prossimo, diviene il fulcro delle indagini della Procura aquilana. Il crollo della Casa dello studente diviene una chimera. Si tratta di una palazzina in cemento armato di quattro piani che poteva ospitare in 50 stanze fino a 119 studenti vincitori di borse di studio. C’erano la mensa, la sala di informatica, la sala riunioni, gli uffici amministrativi e i locali dello sportello per il pubblico. Dopo lo scossone del 6 aprile la struttura si spacca in due tronconi e un’intera ala crolla su quegli studenti che hanno deciso di restare nelle stanze dopo le scosse premonitrici e che non riescono a fuggire in tempo.
C’erano studenti che da diverse Regioni dell’Italia si erano trasferiti all’Aquila per inseguire il loro sogno universitario e crearsi un futuro felice. C’è chi riesce a fuggire in strada, chi si ritrova in una camera quasi completamente crollata con il letto sospeso nel vuoto, e chi non tornerà a vedere la luce: otto ragazzi. Una settimana prima della sciagura, l’edificio era stato sgomberato per tre ore per un sopralluogo dopo l’ennesima scossa. Il 30 marzo alle 15,38 ce n’era stata una molto forte, di quattro gradi di magnitudo. Gli studenti, terrorizzati, avevano chiesto l’intervento della direzione. Il crollo della Casa dello studente rimarrà uno dei simboli della tragedia che ha colpito l’Abruzzo.
I monumenti e i frati
Sono 300 le chiese inagibili, di cui 251 da ricostruire, 138 i monumenti distrutti. Oltre 200 invece i dipinti, le sculture e gli oggetti d’arte distrutti, altrettanti quelli messi in salvo in luoghi più sicuri o all’interno del Museo nazionale d’Abruzzo al Castello Cinquecentesco dell’Aquila o al Museo della Preistoria di Celano, Paludi. I più bei monumenti medievali del territorio sono quasi tutti danneggiati. È parzialmente crollato il campanile della chiesa di Sant’Agostino, danneggiata la basilica di San Bernardino dove è andato distrutto il campanile e parte dell’abside, è crollato il transetto della basilica di Collemaggio e non ah più la cupola la chiesa delle Anime Sante in piazza Duomo. E poi ci sono centinaia di chiese inagibili in tutto il circondario. Una profonda ferita all’arte e alla cultura abruzzese e italiana. Una ferita più latente ma altrettanto profonda viene inferta alla Chiesa cattolica e a decine di preti che si ritrovano senza chiesa, senza parrocchia, a decine di frati e monache, rimasti senza convento, senza monasteri.
Nel convento e nella chiesa di Santa Chiara, dove rimane ben poco, i frati si danno da fare, insieme ai vigili del fuoco, per tirare fuori dalle macerie le tele del Visentini e i pregiati altari settecenteschi. Prelevano le opere più preziose ricoperte dalle macerie della chiesa quattrocentesca, ma per recuperare la biblioteca del ‘500 sono necessari altri interventi. I cappuccini, senza casa, vivono nelle cuccette dello scompartimento numero 6, in una carrozza di un vecchio treno, lungo la ferrovia, tra gli sfollati. Ad aiutare i vigili del fuoco, con elmetti gialli e tonaca marrone ci sono, davanti al piazzale della chiesa di Santa Chiara, a pochi passi dalla casa dello studente crollata, i frati del convento dell’Aquila. Per nulla scoraggiato da una chiesa andata in pezzi e da un convento distrutto, il padre superiore, Luciano Antonelli, 69 anni, cappellano dell’ospedale, sembra aver già voltato pagina ed è pronto alla ricostruzione. Quella notte, quando le mura del convento hanno ceduto, per padre Luciano sembra già un ricordo lontano.
«Eravamo tutti nelle camere», racconta, «poi è stato il caos. Calcinacci ovunque, le urla di padre Tommaso sprofondato al piano inferiore, il tentativo di soccorso di fra’ Nello. Ma alla fine grazie a Dio ce l’abbiamo fatta tutti». Solo qualche ferita per i dieci frati e i dodici postulanti che erano nel convento. Ma in questo caso la ferita più grande è stata inferta al patrimonio religioso e artistico. Parte del tetto della chiesa è crollata e il convento è semidistrutto. Padre Bruno, durante una veloce ricognizione autorizzata all’interno del convento, non rinuncia a dare uno sguardo attraverso una porticina di legno che dà sulla chiesa. «Questo era il coro dove andavamo a pregare», commenta con un pizzico di malinconia, «ora è un cumulo di macerie».
Le opere d’arte, alcune delle quali con lievi danni, sono però salve. Nel 2006 cinque di quelle antiche tele e due reliquiari in legno furono rubati ma «grazie alla provvidenza», come spiega fra’ Luciano, furono ritrovate dai carabinieri. Nei giorni successivi al terremoto, con una gru e con la massima accortezza, tutti i dipinti sono stati prelevati dalla chiesa. «Abbiamo recuperato anche il prezioso tabernacolo settecentesco», spiega padre Luciano, «e la tela dell’altare con San Francesco e Santa Chiara, opera del Visentini. Ora il problema sono le due biblioteche, la moderna e quella del Cinquecento. Serviranno altri interventi dei corpi specializzati», commenta fra’ Luciano, «si tratta di centinaia di volumi». Ora i frati si dividono tra il primo vagone della vecchia ferrovia, dove occupano le cuccette della carrozza numero sei, e la tendopoli di Piazza d’Armi, dove hanno l’incarico di dare assistenza spirituale agli accampati. Ma padre Luciano è anche il cappellano dell’ospedale, ed è stato lui nei primi giorni del disastro, con l’ampollina dell’olio degli infermi, a ungere i corpicini dei bambini per assolverli dai loro peccati. E a chi gli chiedeva in maniera provocatoria «dov’è Dio?», rispondeva: «è qui, e non se n’è mai andato, nonostante le macerie». Ma i cappuccini vogliono ricominciare proprio da lì, dal convento, e la prima cosa da fare è salvare i simboli della fede. A tenere alto il morale sono soprattutto i postulanti, i giovani del convento, quelli che la notte del sisma hanno tratto in salvo i confratelli più anziani mentre le celle si sbriciolavano sotto i loro piedi. E tra un dipinto e l’altro da mettere in salvo hanno anche il tempo di recuperare le uova dal pollaio, fino a riempirne un secchio. «Le galline non si sono fatte spaventare dal terremoto, hanno continuato il loro lavoro», commentano in letizia, «e queste uova saranno utili alla tendopoli».
Il ricordo indelebile della solidarietà, ricordo del terremoto 10 anni dopo (Video)
di Francesco Proia
Il G8
Il logo ufficiale del G8 all’AquilaIl logo ufficiale del G8 all’Aquila “G8 Summit 2009: from La Maddalena to L’Aquila”. Si chiama così la trovata del presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Quando in una conferenza stampa all’Aquila il premier parla del trasferimento del G8 dall’isola della Maddalena all’Aquila la reazione è quella di sconcerto misto a incredulità. Alla fine, a parte le inevitabili anche se sporadiche critiche, la stravagante idea trova il consenso di tutti, compresi i leader del mondo tra cui il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Tutti i Paesi partecipanti al vertice danno infatti la loro piena disponibilità al trasferimento del summit, riducendo gli eserciti di delegati al loro seguito. Lo scopo è quello di contribuire al rilancio dello sviluppo socio–economico dei territori colpiti dal terremoto. Il vertice si tiene all’Aquila dall’8 al 10 luglio. A disporlo è l’articolo 17 del decreto legge per l’Abruzzo, approvato il 23 aprile dal Consiglio dei Ministri riunito proprio all’Aquila. Lo scopo, secondo il presidente del Consiglio, è quello di «dare un messaggio di speranza all’Abruzzo». «Sarà un modo», aggiunge, «per mostrare da vicino le ferite dell’Abruzzo ai 21 Capi di Stato e di Governo che verranno in Italia». Parlando della questione sicurezza, Berlusconi si dice certo che «i no global non verranno a manifestare in una terra ferita dal sisma.
Non credo che avrebbero la voglia, la faccia e il cuore di fare manifestazioni dure». Il provvedimento comporta, inoltre, anche lo spostamento di investimenti pubblici dalla Sardegna all’Abruzzo per un totale di 220 milioni di euro. Berlusconi, inoltre, si convince che questa operazione sarà anche un modo per rilanciare il turismo della regione ammettendo di essere rimasto incantato dalle bellezze naturali e dalle montagne dell’entroterra abruzzese. La regione e il suo immenso patrimonio naturalistico si ritrovano così, come mai prima, proiettate su tutto il pianeta grazie ai media mondiali.
«Devo ammettere che è una regione che non conoscevo bene, che avevo solo frequentato sporadicamente con Gianni Letta», confessa Berlusconi, «e dalla quale sono rimasto affascinato grazie alle bellezze naturali. Una regione splendida, con due parchi nazionali, quattro parchi regionali, circondata da massicci ancora innevati». Proprio grazie a questo passaggio nascerà pochi giorni dopo il nuovo ministero dedicato al turismo. «Dobbiamo impegnarci nel settore del turismo», aggiunge, «e credo che debba avere un Ministro specifico, senza portafoglio ma con la stessa dignità degli altri. Ne parlerò con il presidente della Repubblica». Il summit mondiale, dunque, organizzato dall’Italia si trasforma così da evento sfarzoso in Sardegna, a meeting più sobrio e istituzionale, quasi austero e rivolto ai temi della prevenzione e della protezione dai rischi legati alle calamità naturali. Niente più navi da crociera a cinque stelle e suite imperiali della Costa Smeralda ma la mega caserma della Scuola sottufficiali della Guardia di Finanza di Coppito, frazione dell’Aquila, nell’entroterra abruzzese. Una struttura completamente autonoma, inattaccabile dai no global e soprattutto antisismica. Polemiche ovviamente dalla Sardegna, ma è difficile obiettare davanti al terremoto.
Onna
Diventa subito il simbolo della catastrofe. La piccola frazione è completamente devastata. Dei 350 abitanti ne muoiono 41. Gran parte degli edifici, oltre il 70 per cento, è distrutta e le poche case rimaste in piedi sono inagibili. Ma quella di Onna è una storia segnata dal sangue già in precedenza. Tra il 2 e l’11 giugno 1944 gli occupanti nazisti trucidarono 17 persone. Dopo il sisma, in ricordo di quella pagina nera della storia della Germania, il ministro degli esteri tedesco Steinmeier promette il contributo del suo Paese alla ricostruzione della frazione.
La catastrofe acquisisce infine anche un effetto paradossale nell’ambito politico. Ma il terremoto ha anche un effetto sulla politica interna del Paese. Dario Franceschini, esponente di spicco prima del Partito Popolare e della Margherita, poi del Partito Democratico di cui diviene segretario il 21 febbraio dopo le dimissioni di Walter Veltroni, invita il premier Berlusconi a festeggiare la festa della liberazione. Berlusconi non si tira indietro e va a Onna dove deposita una corona per ricordare le vittime dell’eccidio nazista del 1944. Berlusconi, condottiero e simbolo dell’anticomunismo del terzo millennio, arriva a parlare della Resistenza affermando che «come il Risorgimento, è un valore fondante della nostra nazione, un ritorno alla libertà che rappresenta un diritto naturale che appartiene a tutti gli uomini». Infine ribattezza la festa della “Liberazione” in festa della “Libertà”. E’ l’occasione per riflettere sul passato, ma anche sul presente e sul futuro». Conclude il suo discorso a Onna con un’incitazione: «Viva la festa di tutti gli italiani, viva il 25 aprile, viva la festa della libertà riconquistata». Ma non è finita. Il 25 aprile accade un altro episodio. Ci si accorge che sotto l’intonaco della chiesa di San Pietro Apostolo, staccatosi a causa delle scosse sismiche, ci sono frammenti di preziosi splendidi affreschi del Quattrocento.
Il Caso Giuliani
La scossa della notte del 6 aprile è stata preceduta da diverse scosse minori. Tutto è cominciato con un a piccola scossa da 1.8 di magnitudo il 14 dicembre 2008 e poi, via via, con un preoccupante crescendo, dal 16 gennaio 2009 con scosse inferiori a magnitudo 3. Gli ultimi avvertimenti ci furono poche ora prima della tragedia, alle 20.48 (3.9) e alle 22.39 (3.5). Scosse che salvarono molte vite poiché indussero centinaia di persone a passare la notte fuori casa e diversi studenti fuori sede a lasciare L’Aquila, la sera stessa.
Giampaolo Giuliani, un tecnico di laboratorio non laureato, nelle settimane precedenti il sisma aveva segnalato più volte pubblicamente un’imminente e disastrosa scossa di terremoto in Abruzzo. L’allarme scatenò il panico soprattutto a Sulmona, città a 55 chilometri in linea d’aria dall’Aquila. Il 29 marzo c’è una telefonata tra Giuliani e il sindaco di Sulmona. Quest’ultimo riferisce alla stampa i dettagli della conversazione. Giuliani avrebbe avvisato il sindaco di una scossa imminente. Così il sindaco denuncia il tecnico per procurato allarme. Giuliani, però, smentisce di aver indicato data e luogo del terremoto. Fatto sta che alcuni testimoni, amici di Giuliani, giurano di essere usciti di casa poiché avvisati dal tecnico aquilano di una crescita smisurata dei livelli di radon, precursori del sisma.
Giuliani racconta che la notte prima dello scossone avrebbe rilevato valori compatibili con scosse di assestamento tipiche dello sciame sismico, e quindi intorno al terzo grado, ma di avere notato l’assenza di uno sfogo sismico con piccole scosse di assestamento. Durante la notte, sempre secondo Giuliani, i precursori continuavano a salire e a mezzanotte la concentrazione di radon era ancora in rapida ascesa. Dopo la denuncia, però, avrebbe desistito nell’avvertire l’opinione pubblica su tale situazione e, insieme alla famiglia avrebbe abbandonato la sua abitazione, tra l’altro rimasta intatta. Tre ore dopo arriva la devastante scossa. Nonostante ciò, le sue metodologie previsionali non sono mai state ritenute affidabili dalla comunità scientifica. Eppure segni precursori di terremoti hanno trovano riscontro nella storia della civiltà nelle osservazioni e nelle testimonianze dell’uomo, e sono state anche studiate e in alcuni casi confermate dalla ricerca scientifica. Ma la storia insegna, e non c’è bisogno della scienza in questo caso, che alcuni terremoti, specialmente i più devastanti, sono preceduti da fenomeni naturali come modificazioni improvvise del campo magnetico, elettrico o della radioattività locale, quindi emissione di radon. Eppure il terremoto di Haicheng (Cina), di magnitudo 7.3, avvenuto il 4 febbraio 1975, fu previsto. Certo i segnali premonitori erano così intensi e progressivi da non lasciare dubbi sulla possibilità di un evento disastroso, ma di certo non tanto più intensi e progressivi di quelli registrati all’Aquila prima dello scossone. La città fu evacuata e 150mila persone furono salve. Prima del sisma furono notati uno spostamento degli equilibri della falda idrica, deformazioni geodetiche, ma anche comportamenti anomali di gatti e altri animali domestici, ma anche piccole scosse rilevate dagli strumenti prima di quella più forte.
Il precedente: l’incredibile storia di Antonio detto “Je Pinc”
Era la sera del 13 gennaio 1915. Antonio Antonini, detto “Je pinc”, aveva tenuto la sua famiglia e i parenti fuori di casa per una settimana a causa di brutti presagi che lo avevano tormentato da diversi giorni. Quella sera, però, stanchi di tale “paranoia” i familiari non vollero più dargli retta e rientrarono in casa. Al mattino la città fu rasa al suolo dal terremoto. Tra quei familiari c’era anche la sua nipotina di pochi anni, Francesca Biffi, che scampò ugualmente alla strage grazie alla protezione della mamma, dopo tre giorni e tre notti sotto le macerie. Antonio Antonini, che tutti avevano preso per pazzo, si salvò perché continuò a dormire in una stalla. Aveva continuato a dire a tutti che qualcosa di terribile stava per accadere, che «ci sarebbe stato un grande scassamento d’aria perché i fossi del Fucino bollivano e gli animali erano inquieti». E’ dimostrato che prima di alcuni terremoti distruttivi viene rilevata la variazione del livello delle falde e attività vulcanica, ma anche nervosismo degli animali. Dopo la tragedia, solo dopo, Je Pinc da pazzo furioso divenne una leggenda.
Il giallo delle faglie abruzzesi
Quando la devastazione è ormai una ferita consolidata cominciano a spuntare altre cicatrici sulla terra d’Abruzzo. Sono numerose le faglie scoperte nei giorni successivi al sisma. Ma un giallo interessa una spaccatura di circa quindici chilometri che corre dritta tra Paganica e San Demetrio ne’ Vestini. Sarebbe secondo alcuni la faglia responsabile del sisma che ha devastato L’Aquila. Secondo alcuni tecnici, sarebbe stata individuata nel 1989 da un gruppo di giovani geologi romani che però non furono presi in considerazione dalla comunità scientifica quando sostennero che tra L’Aquila e Paganica ci fosse una faglia attiva in grado di provocare terremoti devastanti. Secondo l’ipotesi di tre giovani geologi di Roma che iniziano a studiare il fenomeno già nel 1988, la morfologia del terreno in quella zona è plasmata da movimenti tellurici prodotti nei secoli da un complesso sistema di faglie. Un’altra faglia a viene scoperta sulla terza montagna dell’Appennino. Si tratta di spaccature che si trovano vicino ala vetta, a un’altitudine di oltre 2.400 metri. Sono crepe sulla neve larghe fino a venticinque centimetri e lunghe decine di metri. Ma per molti esperti si tratta solo di una bufala, di un evento consueto causato dalla scioglimento della neve. Per avere certezze bisognerà attendere l’estate quando la neve sarà sciolta. Un altro caso spunta a Onna, paese simbolo del sisma. Su un terreno privato alla periferia del paese vengono trovate crepe lunghe cinquanta metri e larghe trenta centimetri.
Ma uno dei casi più eclatanti e sorprendenti, stranamente sfuggito ai mezzi di comunicazione, viene scoperto a una quindicina di chilometri dall’Aquila, in località Fonte Perchiana. Uno squarcio sul terreno lungo decine di metri e largo circa 40 centimetri. Si tratta di una impressionante faglia sismica, scoperta da un cercatore di tartufi nella zona di Valle Sindola, nei pressi della frazione di Bagno che si affaccia sull’Aquila. La spaccatura, che in alcuni punti è profonda a vista diversi metri, si raggiunge percorrendo un tratto di strada che dal centro abitato di Sant’Angelo di Bagno porta a Fonte Perchiana. Dopo pochi chilometri, la strada sterrata si interrompe ed è necessario percorrere un tratto a piedi tra i campi. Tra la vegetazione si apre una veduta che dà sull’Aquila e a terra spuntano gli squarci, impressionanti per numero ma anche per grandezza. Intorno alla faglia principale emergono infatti sul terreno altre crepe più contenute. Inoltre, a causa delle nuove scosse di minore entità la faglia subisce delle modificazioni. «Quando l’ho scoperta», racconta Americo Bonanni, «la spaccatura era più piccola e intorno c’erano meno crepe. Ora la situazione sta peggiorando». L’uomo, che conosce molto bene la zona, è coi suoi cani alla ricerca di tartufi quando lungo il suo percorso, quello che fa abitudinariamente, vede la faglia che si estendeva per diversi metri. La deformazione del terreno è molto singolare. Infatti la parte più bassa, che si affaccia verso la vallata, è stata sollevata, mentre quella a monte si è abbassata di diversi centimetri. Il fenomeno non verrà mai analizzato da esperti, ma si tratta con ogni probabilità della faglia principale allineate in direzione appenninica. Le faglie attivate, di tipo estensionale, hanno infatti direzione Nord-Ovest/Sud-Est e asse di estensione Nord-Est/Sud-Ovest. Inoltre, la faglia responsabile della scossa principale si estende per circa quindici chilometri lungo la catena appenninica e presenta una immersione da Nord-Est verso Sud-Ovest. La scoperta poteva essere molto utile ai ricercatori dell’Ingv che stavano eseguendo i rilevamenti in superficie e analizzando i movimenti del terreno per identificare la sorgente sismica in profondità. Stranamente del fenomeno, per il momento, resta solo una documentazione fotografica e alcune testimonianze.
Le truffe del terremoto
In vacanza al mare come falsi sfollati. A un mese dal sisma sono decine le segnalazioni sul web, ma anche ai mass media, di terremotati che risiedendo negli hotel della costa pur essendo proprietari di altre abitazioni. Un insulto alla propria coscienza e agli italiani, un gesto disdicevole quello di coloro che hanno case agibili, magari al mare, oppure in altre province della Regione, ma che continuano a trascorrere il proprio tempo nelle splendide località balneari abruzzesi a spese dello Stato.
Certo non è il massimo scroccare una vacanza gratis sguazzando nell’acqua salata delle spiagge pescaresi quando, nello stesso tempo, nelle tende migliaia di persone fanno i conti con epidemie, malori da caldo e pidocchi. Ma i tentativi di speculare sul terremoto sono moltissime. Ci sono gli sciacalli che si aggirano, soprattutto nelle prime settimane, nella città fantasma cercando di saccheggiare le abitazioni distrutte, cercando oggetti preziosi tra le macerie. Ma ci sono anche truffatori telematici che inseriscono codici “iban” di ambigua provenienza spacciandoli per dati di riferimento per iniziative finalizzate alla raccolta dei fondi a favore dei terremotati.
«I lupi in montagna e i conigli al mare»: la nuova transumanza
Ma il paradosso degli sfollati raggiunge l’apice quando i numeri e i dati ufficiali trasformano i dubbi in certezza. Chi confidava nella buona fede di tutti gli abruzzesi devi ricredersi quando alla metà di maggio arrivano dal servizio sismico del Dipartimento della Protezione civile i dati sugli sfollati. Nelle tende, inizialmente, ci sono 35mila persone, mentre negli alberghi sono 25mila. Ma dopo un mese dal terremoto accade qualcosa di strano. Circa 4mila persone abbandonano le tende e, allo stesso tempo, con l’inizio della stagione balneare, negli alberghi della costa arrivano quasi 10mila sfollati, raggiungendo quota 35mila. Molti aquilani accampati contestano questa migrazione di comodo verso quel territorio ritenuto da sempre eterno antagonista dell’entroterra abruzzese. Vedono questa nuova transumanza come un “tradimento” nei confronti della terra di appartenenza, come una rinuncia a combattere contro il terremoto, come una rinuncia alla lotta per la ricostruzione. Nascono così alcuni slogan che rappresentano in modo esplicito la situazione tra i quali: «I lupi in montagna i conigli al mare». Emerge anche il dato legato alla paura dei cittadini a tornare nelle abitazioni. Dal 7 al 18 maggio sono stati ispezionati 40.758 edifici (una media di circa mille al giorno) di cui 38.034 privati e 915 pubblici (43 ospedali, 139 caserme, 450 scuole, 1.181 attività produttive). Le verifiche mostrano che il 52% degli stabili risulta agibile, il 14% agibile con piccoli provvedimenti, il 25% inagibile. Nessuno però rientra in casa. La gente preferisce continuare a vivere nelle tende, non tutte dotate di condizionatore, piuttosto che affrontare il trauma da paura del rientro in casa. Prevale lo shock di quella terribile notte.
Solidarietà
Gli italiani hanno dimostrato di avere un grande cuore, di saper fare squadra quando ce n’è veramente bisogno, nonostante la crisi, la disoccupazione, nonostante l’aumento dei prezzi, il debito pubblico e le difficoltà economiche delle famiglie. La cifra raccolta dopo un mese dal sisma attraverso un numero istituito dalla Protezione civile per il Terremoto in Abruzzo (48580) è di ventidue milioni di euro. Ma sono centinaia di migliaia le iniziative di solidarietà di aziende, associazioni e privati cittadini. Basti pensare alla canzone realizzata da un centinaio di cantanti tra i più conosciuti d’Italia. “Domani 21.04.2009”, il titolo della canzone, è stata registrato il 21 aprile appunto, in un solo giorno, nelle Officine meccaniche Recording Studios di Milano. l’obiettivo ricostruire il Conservatorio “Alfredo Casella” e la sede del Teatro Stabile d’Abruzzo dell’Aquila. Collaborano alla registrazione Afterhours, Claudio Baglioni, Franco Battiato, Baustelle, Samuele Bersani, Bluvertigo, Luca Carboni, Caparezza, Albano Carrisi, Caterina Caselli, Casino Royale, Carmen Consoli, Cesare Cremonini, Dolcenera, Elisa, Elio E Le Storie Tese, Niccolò Fabi, Fabri Fibra, Giusy Ferreri, Tiziano Ferro, Eugenio Finardi, Frankie Hi Energy, Giorgia, Gianluca Grignani, J Ax, Jovanotti, Ligabue, Malika Ayane, Mango, Gianni Maroccolo, Marracash, Morgan, Gianni Morandi, Gianna Nannini, Negramaro, Negrita, Nek, Niccolò Agliardi, Pacifico, Mauro Pagani, Giuliano Palma, Laura Pausini, Roy Paci, Piero Pelù, Max Pezzali, Massimo Ranieri, Francesco Renga, Ron, Enrico Ruggeri, Antonella Ruggiero, Sud Sound System, Tricarico, Roberto Vecchioni, Antonello Venditti, Mario Venuti, Zucchero. Il brano è stato scritto nel 2003 da Mauro Pagani, e per l’occasione prodotto da Jovanotti e Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. Agli strumenti si cimentano Mauro Pagani al violino, Saturnino e Francky dei Negrita al basso, Emanuele Spedicato dei Negramaro e Riccardo Onori e Cesare Mac Petricich dei Negrita alle chitarre, Eros Cristiani e Andrea Mariano dei Negramaro alle tastiere, Vittorio Cosma all’Hammond, Joe Damiani e Danilo Tasco dei Negramaro a batteria e percussioni e Roy Paci alla tromba. L’industria discografica, inoltre, sostiene le popolazioni colpite dal sisma attraverso “La musica per l’Abruzzo”, iniziativa di case discografiche, media, operatori della live promotion, marchi e associazioni di categoria.
Una canzone di speranza che guarda avanti ma che è dedicata anche alle trecento vittime del terremoto.
Il mistero dei dispersi dimenticati
Dopo una settimana di ricerca, le operazioni di scavo vengono interrotte. Non ci sono più cadaveri sotto le macerie secondo gli organi ufficiali. Ma dopo un messe tutto cambia. L’associazione codici pubblica sul proprio sito un elenco di 50 persone che mancano all’appello. Ne vengono trovate 43, ma di sette nessuna traccia. Per la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto” sono un centinaio le persone ancora disperse. Anche la Procura ammette che potrebbero esserci dispersi. Il procuratore capo della Repubblica dell’Aquila, Alfredo Rossini, non esclude tale eventualità. «Purtroppo tutto è possibile», afferma, «sicuramente, chissà tra quanto tempo, scoperchiando delle situazioni si troveranno salme, magari a distanza di anni. Purtroppo, i soccorritori fanno il possibile ma l’impossibile solo Dio può farlo». La Protezione civile, invece, nega segnalazioni al riguardo da parte di familiare. Ma la preoccupazione maggiore riguarda soprattutto stranieri e clandestini. Alcuni di loro potrebbero essere rimasti sotto le macerie. Le ricerche sono avvenute soltanto dove le segnalazioni dei parenti hanno indicato la presenza dei propri cari. Non si è scavato ovunque. Quindi l’ipotesi che sotto le case crollate ci siano persone “dimenticate” o mai “conosciute” è verosimile.
Il Papa, la speranza e il futuro
«L’Aquila, anche se ferita, tornerà a volare». Questo il messaggio di speranza di papa Benedetto XVI durante la sua visita a Onna, il simbolo del terremoto dell’Aquila. «Il Signore ascolti il grido di dolore e di speranza che si leva da questa comunità duramente provata dal terremoto». Inizia così la preghiera del pontefice su una pedana nella piazzola della tendopoli di Onna. «Vi sono stato accanto fin dal primo momento, fin da quando ho appreso la notizia di quella violenta scossa di terremoto che, nella notte del 6 aprile, ha provocato quasi trecento vittime, numerosi feriti e ingenti danni materiali alle vostre case. Ho ammirato il coraggio, la dignità e la fede con cui avete affrontato anche questa dura prova». Il pontefice, a causa del maltempo, è costretto a cambiare programma e al posto dell’elicottero arriva in auto da Roma intorno alle 10.30, con quasi un’ora di ritardo. Ad Onna, nella tendopoli che ospita circa 500 sfollati, la prima tappa, il Papa viene accolto dall’arcivescovo dell’Aquila, monsignor Giuseppe Molinari e dal sottosegretario Guido Bertolaso.
Poco dopo giunge anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Tra le tante persone a cui dà la sua parola di solidarietà e conforto c’è quella particolarmente commovente riservata al vicecaporedattore del quotidiano del gruppo Espresso “Il Centro”, Giustino Parisse, che nella terribile notte ha perso i due figli adolescenti, il padre e la casa, mentre lui, la moglie e la madre, si sono miracolosamente salvati. «Sono venuto di persona in questa vostra terra splendida e ferita, che sta vivendo giorni di grande dolore e precarietà, per esprimervi nel modo più diretto la mia cordiale vicinanza» , afferma Benedetto XVI rivolgendosi alla popolazione di Onna. Poi una cerimonia nella basilica di Collemaggio con l’apertura della Porta santa, e una visita tra le macerie della città, prima del trasferimento a Coppito. Un caloroso applauso accoglie poi le parole del Papa quando, quasi al termine del suo discorso davanti alla Scuola della Guardia di Finanza, afferma: «L’Aquila, anche se ferita, tornerà a volare».
Il Pontefice auspica che in Abruzzo si possa «andare avanti uniti e ben coordinati e così si possano attuare quanto prima soluzioni efficaci per chi oggi vive nelle tendopoli». Un appello anche alla «comunità civile» affinché faccia «un serio esame di coscienza poiché il livello delle responsabilità, in ogni momento, venga meno». Ribadisce poi la vicinanza della chiese alle popolazioni terremotate e l’invito a «non cedere allo scoraggiamento», assicurando la costante vicinanza della Chiesa, «unico corpo spirituale in cui se una parte soffre tutte le altre parti soffrono con lei». Il papa cita infine il motto della Guardia di Finanza scritto sulla grande facciata della struttura di Coppito: “Nec Recisa Recedit”, cioè “neanche spezzata retrocede”.
«Sembra bene esprimere», ha affermato, «la ferma intenzione di ricostruire la città con la costanza caratteristica di voi abruzzesi». Questi sono anche i desideri e la voglia degli abruzzesi: voltare pagina per cominciare una nuova avventura, scrivere ancora una volta con il cuore e con il sudore la storia gloriosa e dignitosa di un terra forte e gentile.