Pescara. L’8 dicembre di cinquanta anni fa, Paolo VI chiudeva i lavori del Concilio Vaticano II: voluto ed inaugurato dal predecessore Giovanni XXIII, l’11 ottobre 1962. Il concilio, per la Chiesa Cattolica, è da sempre la straordinaria e rara assemblea di tutti i vescovi del mondo che discute e decide in materia teologica, dottrinale, liturgica e pastorale, sancendo così l’evolversi e il progredire necessari alla vita spirituale dei fedeli e della gerarchia ecclesiastica.
L’Arcidiocesi di Pescara – Penne, in collaborazione con il Centro Studi Architettura e Liturgia, ha inteso promuovere l’importante commemorazione, con un convegno dal tema “Spazi di comunione. Architettura e arte per la liturgia nel Cinquantenario del Concilio Vaticano II”.
Il dibattito, a cui parteciperanno illustri relatori, è aperto a tutti e avrà luogo sabato 5 dicembre a partire dalle ore 9.00 presso il Grand Hotel Adriatico a Montesilvano (per coloro che desiderassero iscriversi, sarà possibile compilare l’apposita scheda e consultare le ulteriori indicazioni nel sito www.thema.es oppure contattare la segreteria ai numeri telefonici: +39 340 0961183 +39 366 8029379). Sono stati riconosciuti 6 crediti formativi professionali presso il Consiglio Nazionale Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori e 3 crediti formativi professionali presso il Consiglio Nazionale Geometri.
Il dibattito si prospetta interessante, anche alla luce della dinamicità delle visioni che nella fase post-conciliare sono scaturite attraverso le interpretazioni, non sempre univoche, delle disposizioni del documento prodotto dall’assise vaticana: la costituzione “Sacrosanctum Concilium”, dai cui principi scaturì appunto la successiva riforma della Liturgia della Chiesa. Naturalmente anche per quanto riguarda l’arte religiosa in generale e l’architettura cultuale in particolare, numerosi sono i punti di vista al proposito.
In passato norma fondamentale era che una chiesa dovesse essere costruita per rendere culto a Dio, ma a partire dal dopo Concilio, forse per una mal interpretata concezione di tutto “ammodernare”, le chiese assomigliano più a padiglioni espositivi di design: in poche parole gli edifici sacri hanno perduto completamente la funzione di cui sopra. Intendiamoci, qui non è in discussione la qualità architettonica, alcune delle progettazioni religiose contemporanee sono notevoli sopratutto per le soluzioni tecniche adottate. Tuttavia è opinione comune, al di là di una ristretta cerchia di “addetti ai lavori”, che si sia perduta l’originaria nozione di architettura sacra, dando più che altro libero sfogo alla fantasia e alla preparazione tecnica, pur apprezzabili, di professionisti del settore. A questo punto non è azzardato sostenere che la nuova architettura sacra, scaturita dalla riforma liturgica post-conciliare, marca una rottura totale con la tradizione millenaria della Chiesa.
A volte le geometrie di queste “bizzarre” costruzioni, in cui sembra rinvenire un’inusitata gara tra gli architetti a chi progetta più astrusamente, non permettono più l’orientamento dei fedeli verso quel “Punto di riferimento” che la religione ha sempre indicato e “tenuto ben saldo”. Il cemento armato, l’acciaio, l’essenzialità estremizzata, l’eccessiva luminosità degli spazi e la caotica policromia delle vetrate costituiscono, purtroppo e nella maggior parte dei casi, il deterrente per creare quell’armonia, quella pace interiore e quella concentrazione che l’animo cerca entrando nell’edificio sacro. Solo per citare due esempi della concezione architettonica sacra medievale e delle funzioni ad essa proprie, si rifletta sull’intimità offerta dalla semioscurità delle chiese romaniche o sull’esaltazione spirituale che si prova ammirando la verticalità delle chiese gotiche: esse caratteristiche rispecchiavano comunque in pieno il rendere culto e il creare l’elemento di connessione tra l’uomo e la divinità.
I paragoni e gli esempi potrebbero essere molti e troppo lunga per questa sede la discussione. Ci preme tuttavia fornire alla riflessione, in vista del Convegno diocesano pescarese, qualche interrogativo: oggi possiamo dire che le moderne costruzioni religiose sono funzionali alle basilari esigenze del credente? Non ci si è spinti forse un po’ oltre? Non si è perso di vista il “Punto di riferimento”? Quali sono gli elementi caratterizzanti la funzionalità delle chiese costruite nel periodo post-conciliare?
Mirco Crisante