Pescara. Arriveranno domani a bordo della nave di Emergency 161 migranti provenienti da diverse nazionalità africane al porto di Ortona. Predisposti due punti logistici, uno in banchina come prima accoglienza, e poi i migranti saranno trasferiti al Palazzetto dello Sport di Villa Caldari, dove saranno rifocillati potranno riposare, perché stanno predisponendo anche della brandine. Poi saranno ricollocati in vari Cas della regione Abruzzo, che la Prefettura di Chieti sta già allertando. Sul posto forze dell’Ordine, Croce Rossa e anche personale dell’Usmaf per delle eventuali visite sanitarie. Tra i 161 migranti, molti bambini accompagnati e non, e anche diverse donne incinte.
In una nota poi il capo missione della Life Support di Emergency, Emanuele Nannini fa sapere che durante quest’ultima missione siano state svolte “tre distinte operazioni di soccorso in meno di 10 ore. Nel primo soccorso, abbiamo trovato 78 persone su un gommone di 12 metri dai tubolari quasi sgonfi e alla deriva per assenza di carburante. Abbiamo effettuato il secondo e terzo soccorso in coordinamento con le autorità italiane. In questi due soccorsi, abbiamo tratto in salvo 83 persone, tra cui donne e bambini anche molto piccoli: viaggiavano da tre giorni su imbarcazioni di 8 metri, tra le onde del Mediterraneo e con i motori in avaria. Se non fossimo intervenuti, quelle persone si sarebbero aggiunte alle oltre 26.000 morte o disperse nel Mediterraneo negli ultimi 8 anni”. Una delle donne soccorse, di 28 anni, proveniente dalla Costa d’Avorio e mamma di una coppia di gemelli di due anni, ricorda così il viaggio: “Pensavo, se succede qualcosa ai miei bambini non me lo perdonerò mai.
Siamo stati per tre giorni in mare alla deriva perché il motore non funzionava più. Avevamo finito il cibo e l’acqua. A bordo eravamo immersi nel gasolio, nelle urine, negli escrementi, nel vomito. I più piccoli piangevano senza sosta”. Le persone soccorse nella seconda e nella terza operazione erano partite da Sfax, in Tunisia, dove nelle ultime settimane si è registrata una recrudescenza delle politiche verso le persone prive di documenti, per la maggior parte cittadini provenienti dall’Africa SubSahariana. Un’altra donna, di 40 anni e sempre della Costa d’Avorio, racconta: “Ho vissuto cinque anni in Tunisia, lavorando onestamente, fin quando non è diventato un luogo davvero pericoloso. La popolazione locale ha iniziato a lanciarci pietre per strada, a minacciarci con armi per prenderci soldi e telefoni, a incendiare le nostre case, a non pagarci più a lavoro o a licenziarci dal giorno alla notte. La legge in Tunisia non è uguale per tutti, non vengono rispettati i diritti umani. Ho ancora amici rimasti in Tunisia che al momento sono in prigione, senza aver commesso alcun crimine. Come si può restare in un Paese dove si ha paura ad uscire anche solo di casa?”.