Roma. Trentatré anni fa, il delitto di via Poma. Il 7 agosto 1990, la 21enne Simonetta Cesaroni è stata trovata morta, uccisa con 29 coltellate, negli uffici dell’Associazione Italiana Ostelli della Gioventù (A.I.A.G.) siti appunto nello stabile di via Poma n. 2, scala B, terzo piano, interno 7. Il corpo è stato rivenuto verso le 23,30 della sorella Paola, dal suo fidanzato Antonello Barone, da uno dei datori di lavoro di Simonetta, Salvatore Volponi e da suo figlio Luca. La giovane vittima lavorava per la Reli s.a.s., uno studio commerciale gestito da Volponi e da Ermanno Bizzocchi. Tra i clienti della Reli, anche l’A.I.A.G., per la quale Simonetta stava curando la contabilità.
Uno scoop?
A ridosso della ricorrenza del delitto, Tgcom24 ha diffuso dichiarazioni di un “nuovo testimone”. Ha intervistato Giuseppe Macinati, figlio di Mario Macinati, il factotum dell’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, l’ormai defunto presidente regionale dell’A.I.A.G., di cui si è insistentemente riparlato lo scorso anno a proposito di asseriti “nuovi sviluppi” del caso.
Oggi, Giuseppe Macinati torna a parlare di due telefonate pervenute a casa dei genitori la sera dell’omicidio, prima della scoperta del corpo. A dire il vero, il dato è già noto, riportato dalla pubblicistica che si interessa della vicenda (cfr., ad esempio, Via Poma. Oltre la Cassazione di Cochi, Loria e Bruno, 2018).
Quel giorno, risulterebbe che l’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno fosse in vacanza nella sua tenuta di Tarano, in provincia di Rieti. Non aveva il telefono e, in caso di necessità, aveva lasciato il recapito del suo fattore, Mario Macinati. E proprio a casa di Macinati, la sera del 7 agosto, sarebbero appunto giunte due telefonate da parte di qualcuno che chiamava dagli uffici di via Poma e ha chiesto di parlare con Caracciolo. Ha risposto, entrambe le volte, la moglie di Macinati, Anna Angelone.
A queste telefonate fa dunque riferimento Giuseppe Macinati nell’intervista a Tgcom24. Premette, ovviamente, che “sono passati tanti anni.” E aggiunge: “Ho cercato di ricostruire pressappoco a che ora erano arrivate quelle telefonate. Ma io non potevo sapere che erano avvenute prima della scoperta del corpo. Io per tanti anni ho pensato che gli inquirenti avevano chiamato a casa nostra dalla sede degli Ostelli della Gioventù [l’A.I.A.G. appunto, ndr] per cercare il presidente Caracciolo, che ne era il responsabile. Non sapevo che, invece, il corpo non era ancora stato scoperto dalla polizia. L’ho detto anche ai magistrati.”
A che ora sono arrivate le telefonate? “Ora è difficile dirlo, sono passati tantissimi anni. Io ricordo nel pomeriggio, intorno alle 17,30, e poi la seconda non più tardi delle 20,30, perché papà tornava a casa intorno alle 20,45”, riferisce Giuseppe. “Sicuro hanno chiamato prima che trovassero il corpo. Noi in quel momento non sapevamo nulla di quello che era accaduto a Roma. Solo il giorno dopo ho scoperto dai telegiornali che era stata uccisa una ragazza agli Ostelli. Ho pensato: ‘Allora era per questo che chiamavano’.”
E conclude: “A me dispiace tantissimo per la famiglia di questa ragazza. Se potessi, farei di tutto per aiutare. Però, è passato tantissimo tempo, uno non può ricordarsi bene le cose dopo tutti questi anni. Forse, se me lo avessero chiesto prima, nell’imminenza dei fatti, l’assassino non sarebbe libero.”
Un dato già acquisito
È vero: dal 7 agosto 1990 è passato tanto, troppo tempo, e i ricordi di allora risultano inevitabilmente sfocati. Ci viene, per fortuna, in soccorso la documentazione dell’inchiesta e del processo. Ma emerge una discrepanza. Vediamo.
Verbale di assunzione di informazioni del 27 maggio 2008, ore 15,07, sentita Anna Angelone, moglie di Mario Macinati: “Io so solo della telefonata che ho ricevuto alle 20-20,30, una cosa del genere, e mi ha detto se c’era l’avvocato – dico – No, non c’è, sta a casa sua e dice va bene quando torna suo marito glielo dice, e quando è tornato gliel’ho detto, ma erano le 21,30 dove andava più? Ha mangiato e andato a dormire. Poi alle 23 io stavo andando a dormire, se erano le 23,30 o le 23,15, mi ha ritelefonato un’altra volta e dice – Signora è urgente – e dico mo’ se è urgente domani mattina […], mio marito dorme […].”
Dunque, due telefonate effettivamente giunte a casa di Macinati da parte di qualcuno che cercava l’avvocato Caracciolo. Ma, a dire della donna, alle 20-20,30 e verso le 23. Secondo quanto dichiarato dalla moglie, Mario Macinati è tornato a casa alle 21,30. Alle 23,30 circa, in via Poma, è stato scoperto il corpo di Simonetta.
Dal già citato verbale di assunzione di informazioni, risulta che sia stato chiesto ad Anna Angelone se l’autore della telefonata avesse precisato da dove chiamava. “Ricordo che erano le 20-20,15”, ha ribadito lei, “quando arrivò una telefonata a casa da parte di un uomo che diceva di chiamare dagli Ostelli e che chiedeva di parlare con l’avvocato Caracciolo.”
Sul punto, è stato ascoltato anche lo stesso Mario Macinati (verbale di assunzione di informazioni del 28 febbraio 2008): “La mattina seguente [l’8 agosto, ndr] presi la macchina arrivai alla tenuta dell’avvocato e gli dissi che avevano chiamato quelli degli ostelli i quali volevano che lui li richiamasse subito. L’avvocato ha preso la macchina ed è andato in paese, a Tarano, a telefonare. Io son rimasto nella tenuta a lavorare. Dopo un po’ è tornato l’avvocato che mi ha detto che doveva andare a Roma. Non mi è sembrato particolarmente sorpreso, né particolarmente affranto, insomma tranquillo e normale come sempre.”
La versione di Caracciolo
Cosa ha detto, in proposito, il diretto interessato, l’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno? Dichiarazione del 28 luglio 2008: alla domanda “La mattina dell’8 agosto 1990, venne a chiamarla Mario Macinati presso la tenuta di Tarano?”, ha risposto: “Non mi ricordo assolutamente. […] Facendo mente locale potrebbe darsi che Sibilia abbia contattato Macinati presso la sua abitazione e quindi quest’ultimo mi abbia detto di chiamare Sibilia e io ho contattato quest’ultimo.”
L’uomo a cui Caracciolo fa riferimento nella sua dichiarazione è Salvatore Sibilia, ispettore regionale dell’A.I.A.G., fratello di Maria Luisa (dipendente del comitato regionale A.I.A.G.) e marito di Anita Baldi (direttrice amministrativa A.I.A.G.).
Nel corso del processo a Raniero Busco, l’allora fidanzato di Simonetta Cesaroni, accusato del suo omicidio e assolto in via definitiva, il Pubblico Ministero ha interrogato proprio Caracciolo di Sarno sulle telefonate in questione. “PM: […] Lei poi è stato raggiunto dalla notizia o contattato da qualcuno? Cioè quella sera Macinati è venuto ad avvisarla? CARACCIOLO: No. PM: Che la cercavano urgentemente dagli ostelli? CARACCIOLO: No, no, no. PM: Lei non si sarebbe dovuto arrabbiare se il suo factotum, ricevute ben due telefonate in ora serale in cui rappresentava urgenza di parlare con lei, non l’avesse avvertita? CARACCIOLO: Se io non lo sapevo. PM: Poi l’ha saputo. CARACCIOLO: Da chi? Mai, non l’ho saputo mai […].”
Il mistero è sempre fitto
Tutto questo per ribadire che le due telefonate giunte a Tarano la sera del delitto non sono un dato inedito e, da sempre, suscitano interrogativi cui ancora non si è trovata risposta. A che ora risalgono effettivamente? Se fossero giunte negli orari che Giuseppe Macinati asserisce di ricordare, molti aspetti dell’ipotizzata dinamica della vicenda dovrebbero essere riconsiderati. Ovviamente, non possiamo che auguraci che l’indagine registri dei progressi sostanziali e si possa giungere alla verità.
La Commissione parlamentare di inchiesta che, nei mesi scorsi, si è interessata al caso, ha posto in evidenza alcuni suoi punti che meriterebbero attenzione. Si è anche fatto riferimento a una macchia di sangue repertata sulla scena del delitto, che non sarebbe stata presa in esame a fini identificativi.
Confronti con il Dna maschile recuperato in sede di indagine sono stati comunque posti in essere. In un contributo sul delitto di via Poma pubblicato anni fa dal criminologo Carmelo Lavorino (Il delitto di via Poma. Sulle tracce dell’assassino, 2009), si fa riferimento a “31 persone il cui Dna è stato comparato con quello repertato sul reggiseno, sul top di Simonetta e sulla porta della stanza.”
Nel volume si legge che i soggetti legati all’ufficio dell’A.I.A.G. dove Simonetta ha trovato la morte, sottoposti a tale comparazione sono: l’avvocato Caracciolo, Corrado Carboni (direttore), Luciano Menicocci (contabile presso la sede nazionale e “tutor” di Simonetta), Riccardo Sensi (ragioniere, ex dipendente).