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Serena Mollicone, in Corte d’Appello accusa e difesa a confronto: forse la sentenza il 12 luglio

Luca Marrone di Luca Marrone
8 Luglio 2024
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Roma. Franco Mottola avrebbe tenuto “il comportamento più grave perché era il comandante della stazione dei Carabinieri e avrebbe dovuto prendere per primo le iniziative per evitare che questa ragazza morisse.”

È quanto affermato dal Sostituto procuratore Deborah Landolfi nella requisitoria pronunciata dinanzi alla Corte d’Assise d’appello nell’ambito del processo per l’omicidio di Serena Mollicone, avvenuto ad Arce nel giugno 2001.

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Imputati nel procedimento, ormai alla conclusione, il maresciallo Franco Mottola, ex comandante della caserma di Arce, il figlio Marco, la moglie Annamaria e i Carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale, tutti assolti in primo grado.

Prima di Landolfi aveva preso la parola il Procuratore generale Francesco Piantoni. Per l’ex comandante della stazione dei Carabinieri di Arce entrambi i magistrati hanno chiesto la condanna a ventiquattro anni di reclusione.

Sotto processo anche Marco e Annamaria Mottola, rispettivamente figlio e moglie dell’ex militare dell’Arma. A loro volta destinatari di una richiesta di condanna da parte del Procuratore generale e del Pm, a ventidue anni di reclusione. “Per Marco e Annamaria Mottola chiediamo una pena un po’ più alta del minimo edittale vista la gravità della situazione. Inoltre non hanno mai ammesso le loro responsabilità e non hanno mai collaborato.” Chiesti quattro anni per Suprano (favoreggiamento) e l’assoluzione per Quatrale.

Il confronto con il caso di Marco Vannini

I magistrati hanno inoltre proposto il paragone tra la vicenda in questione e il delitto di Marco Vannini, il ventenne deceduto a Ladispoli nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015. Nel caso Vannini, ha spiegato il Pg, “il giovane era ospite in casa della fidanzata quando viene ferito da un colpo di arma da fuoco esploso dal padre della ragazza e poi lasciato morire senza chiamare adeguati soccorsi.”

“L’obbligo di garanzia sorge per il titolare di un’abitazione quando ospita una persona che viene a trovarsi in una situazione di pericolo”, ha proseguito, “proprio perché trovandosi nella sua abitazione era in un posto dove nessun altro poteva entrare.”

“Marco ha messo in pericolo la vita di Serena in un appartamento dove solo i Mottola potevano accedere e avevano l’obbligo di intervenire”, si legge nella memoria conclusiva dell’accusa.

La dinamica degli eventi secondo l’accusa

“Entrambi i genitori e lo stesso Marco avevano l’obbligo di garanzia di prestare soccorso alla ragazza che era entrata nell’abitazione di cui solo essi avevano la disponibilità e ciò non hanno fatto, anzi hanno voluto nascondere quanto era successo per evitare conseguenze penali ai danni del figlio. Ma, in questo caso, hanno anche deciso di soffocare la ragazza e quindi di ucciderla deliberatamente, per poi far sparire il corpo ed ogni traccia.”

La parola alla difesa

“Non è stata dimostrata nessuna prova che la pubblica accusa vuole dare per acclarata”, questa la replica dell’avvocato Francesco Germani, storico difensore della famiglia Mottola, nell’arringa difensiva pronunciata dopo quella dell’accusa. “So di aver combattuto una buona battaglia proprio perché sono convinto della completa innocenza dei signori Mottola.”

In aula, l’avvocato ha ripercorso quanto ipoteticamente accaduto il 1° giugno 2001, giorno della scomparsa di Serena Mollicone, prendendo in esame avvistamenti e testimonianze.

A proposito della presenza, quel giorno, di Serena e Marco Mottola al bar Chioppetelle, afferma che non sussisterebbe “nessun elemento che possa collocarli in quel posto. Come non c’è la benché minima prova del fatto che Serena sia tornata con Marco Mottola ad Arce. Nemmeno Carmine Belli ci dice che quel ragazzo che aveva visto discutere con Serena era Marco Mottola.”

Movente

A proposito del movente del delitto: “Serena va in caserma perché vuole denunciare il figlio del maresciallo? Non solo la Procura abbandona anche questa ipotesi, ma nessuno può dire che volesse denunciare Marco Mottola”, considera io legale.

Dopo il delitto

Circa la ricostruzione del delitto proposta dalla Procura generale, il difensore considera: “Marco uccide Serena e poi si cambia, va in piazza con gli amici. Elisa Santopadre che ci dice che è tranquillo e sereno come sempre. Un ragazzo di 18 anni ha la durezza d’animo per stare così sereno dopo aver lasciato in casa una ragazza agonizzante?”

“Tre militari integerrimi”

E, con riferimento a Franco Mottola: “Secondo l’accusa nell’arco di un’ora il maresciallo coinvolge tre militari integerrimi in un omicidio. Quali leve può avere usato per coinvolgere tre Carabinieri in un omicidio per coprire il figlio? Anche di questo manca la prova.”

Nessun lasso di tempo utile?

Relativamente all’ipotesi secondo cui, la sera del 1° giugno, Annamaria e Franco Mottola avrebbero trasportato il cadavere di Serena fino al boschetto di Fonte Cupa, considera: “Non esiste in tutta la notte un arco utile a compiere questa azione. Mottola non è rimasto mai da solo per più di 30-40 minuti. Lo stesso padre di Serena, Guglielmo Mollicone, è stato circa due ore in caserma con il maresciallo dopo mezzanotte.”

L’arma del delitto

Sull’arma del delitto: “L’assassino in genere si sbarazza dell’arma del delitto e invece in questo caso lasciano la porta lì alla mercé del primo esperto dei Ris che la voglia analizzare perché se su quella porta ci fosse stata una sola traccia di Serena il processo sarebbe finito.”

Un’impronta

Menziona, l’avvocato, anche l’impronta trovata sul nastro adesivo che, al momento del ritrovamento, avvolgeva il capo di Serena, affermando che “non è della famiglia Mottola e che non si sa a chi appartiene.” “Confido che vogliate confermare in toto la sentenza di primo grado”, ha quindi concluso l’avvocato Germani.

“Inattendibile”

“La Procura di Cassino non ha saputo spiegare prima e la Procura generale non saputo integrare poi per quale motivo sia stato commesso un delitto così grave.” È quanto aggiunto l’avvocato Mauro Marsella, del pool della difesa della famiglia Mottola. “Inattendibile”, a suo avviso, Santino Tuzi, il carabiniere morto suicida nel 2008, che dichiarò di aver visto Serena entrare in caserma.

“Se fosse ancora vivo sarebbe anche lui tra gli imputati”, sostiene Marsella. “Non è un testimone terzo ed estraneo e quindi qui si sta valutando l’attendibilità di un imputato.”

Per Marsella, inoltre, la Procura “non giustifica come mai Santino Tuzi sia rimasto in silenzio per sette anni.”

Avvistamenti

“In ogni caso anche volendo tenere in considerazione le sue dichiarazioni e che Serena sia entrata in caserma ad Arce tra le 11 e le 11.30” del giorno della scomparsa, ha proseguito, “non penso che si possano sottacere gli avvistamenti successivi della giovane, ben tre tra cui quello di Valentina Cianchetti e quello alle 13 di Elvira Mollicone, maestra della 18enne.”

Il difensore ha infine citato “Simone Pasquale che racconta di aver avuto contatto fisico con il maresciallo Mottola proprio nell’orario in cui avrebbe dovuto uccidere Serena Mollicone.”

La sentenza è attesa per il 12 luglio.

Tags: serena mollicone
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