Roma. La polemica è dei giorni scorsi. Il telegiornale de La7 ha rivelato l’esistenza di un carteggio risalente al settembre 1983 tra l’allora cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli e il padre spirituale della famiglia di Emanuela Orlandi, trasferito in Colombia da papa Wojtyla. L’8 settembre, Casaroli – sollecitato da ambienti investigativi romani – avrebbe inviato al sacerdote una lettera per via diplomatica per chiedergli conferma di presunte molestie subite dalla sorella maggiore di Emanuela, Natalina, da parte dello zio, Mario Meneguzzi. La conferma sarebbe giunta, sempre per via diplomatica, a stretto giro (il messaggio sarebbe stato cifrato, apprendiamo dal sito de La7) e i giornali l’hanno così riportata: “Sì, è vero, Natalina è stata oggetto di attenzioni morbose da parte dello zio, me lo confidò terrorizzata: le era stato intimato di tacere oppure avrebbe perso il lavoro alla Camera dei Deputati dove Meneguzzi, che gestiva il bar, la aveva fatta assumere qualche tempo prima.”
Alla diffusione della notizia delle “attenzioni morbose” si è accompagnata la pubblicazione di identikit realizzati nel corso delle indagini sulla scomparsa di Emanuela e basati sulle descrizioni che il carabiniere Bruno Bosco e il vigile urbano Alfredo Sambuco avevano fornito dello sconosciuto con cui la giovane si sarebbe intrattenuta a parlare il 22 giugno 1983, prima che di lei si perdessero le tracce. E non è mancato chi oggi ha fatto notare la presunta somiglianza degli identikit stessi con Mario Meneguzzi.
Ne è nata, comprensibilmente, una polemica. Natalina e Pietro Orlandi, insieme al legale della famiglia, Laura Sgrò, hanno tempestivamente convocato una conferenza stampa per proporre commenti e repliche alla notizia diffusa da La7. In particolare, Natalina ha riferito quanto già detto all’epoca ai magistrati: di aver ricevuto, cinque anni prima della scomparsa della sorella, delle avances verbali dallo zio, che questi l’aveva corteggiata per un mesetto, con qualche regalo e che, compreso che non avrebbe avuto alcuna possibilità, aveva poi cessato di importunarla. La stessa ha anche escluso che Meneguzzi possa aver agito nello stesso modo nei confronti di Emanuela.
Da parte sua, la Santa Sede ha precisato che le confidenze di Natalina, riferite a Casaroli dal padre spirituale, erano state condivise nel corso di un colloquio personale e che dunque, nel caso di specie, non vi è stata “violazione del sigillo sacramentale della Confessione”. Il Vaticano ha contestualmente ribadito l’auspicio che, sulla scomparsa di Emanuela, si giunga a fare piena luce, non trascurando nessuna possibile pista investigativa.
Chi era Mario Meneguzzi
Meneguzzi lavorava al bar della Camera dei Deputati e ha avuto un ruolo significativo nella prima fase delle indagini. Nel documentario Vatican Girl di Netflix, Pietro Orlandi racconta che lo zio ha aiutato il papà di Emanuela, Ercole, nelle ricerche della figlia scomparsa, battendo in motocicletta, a notte fonda, le vie di Roma, in particolar modo le zone del lungotevere.
In seguito, si è installato in casa Orlandi per rispondere alle telefonate di segnalazione, dopo la diffusione dei manifesti con l’immagine di Emanuela. È stato lui a inviare, tramite i mass media, messaggi ai presunti rapitori chiedendo “prove precise” del fatto che la nipote fosse effettivamente loro prigioniera, senza ottenere risposte.
Gli identikit
Abbiamo accennato agli identikit dello sconosciuto con cui avrebbe parlato Emanuela prima di scomparire. Ricavati, dicevamo, dalla descrizione fornita – due anni dopo i fatti – dal carabiniere Bosco e dal vigile urbano Sambuco. Si può davvero affermare che assomigli a Meneguzzi?
Secondo quanto diffuso nei giorni scorsi dagli organi di stampa, il promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi e il procuratore romano Francesco Lo Voi, avrebbero affermato che la tale somiglianza sarebbe “impressionante”.
La trasmissione Quarto Grado ha proposto una elaborazione grafica degli identikit effettuata dall’artista Gregorj Cocco. I volti sembrerebbero appartenere a un uomo di 40-45 anni, mentre Meneguzzi all’epoca ne aveva 53. Molti lineamenti e la stempiatura non corrisponderebbero all’immagine dello zio degli Orlandi. Senza contare il tempo trascorso tra il fatto e il momento in cui le descrizioni sono state fornite. “Il limite è proprio questo: il tempo, i dettagli che il testimone riferisce e poi la capacità di tradurre quegli elementi al disegnatore”, ha rilevato il generale Luciano Garofano, ospite fisso della trasmissione. E, riferendosi agli identikit e alle immagini di Meneguzzi: “Anche a me sembrano obiettivamente diversi”.
A ciò si aggiunga un’osservazione di Federica Sciarelli, conduttrice del programma Chi l’ha visto?: all’epoca, Meneguzzi appariva spesso nei telegiornali in quanto portavoce della famiglia e di certo Sambuco avrà avuto occasione di osservarlo, ma non lo ha mai identificato come l’uomo visto insieme ad Emanuela.
L’alibi
Il 31 ottobre 1985, a quanto riportato nei giorni scorsi dalla stampa, Mario Meneguzzi si era presentato dinanzi al giudice istruttore Ilario Martella per riferire che, il 22 giugno 1983, giorno della scomparsa di Emanuela, lui non era a Roma ma a Torano. E vi si trovava dal pomeriggio del giorno prima, insieme alla figlia Monica, alla cognata Anna Orlandi – seconda sorella di Ercole, padre di Emanuela – e allo stesso Ercole. Quest’ultimo, però, avrebbe affermato che, il 22 giugno, lui e la moglie Maria erano tornati a Roma nel tardo pomeriggio, dopo essere stati a far visita a dei parenti a Fiumicino.
Questo è quanto dichiarato da Pietro Orlandi in tal senso: “Mio zio con tutta la famiglia quel giorno stava in vacanza lontanissimo da Roma e mio padre quando è successo tutto [la scomparsa di Emanuela] la prima cosa che ha fatto è stata telefonare a mio zio, mi aiuti?”
Il sito del TgLa7 riporta che Ercole Orlandi avrebbe telefonato al cognato non nell’immediatezza della scomparsa ma alcune ore dopo, verso mezzanotte.
La nomina dell’avvocato Egidio
Nel servizio del TgLa7, viene preso in esame un ulteriore aspetto della vicenda: la scelta dell’avvocato Gennaro Egidio come rappresentante degli Orlandi nei mesi successivi alla scomparsa. Sarebbe stato proprio Meneguzzi a consigliare al cognato Ercole Orlandi di scegliere il legale, preannunciando che la sua ingente parcella sarebbe stata saldata dal Sisde.
Versione smentita da Pietro Orlandi, secondo quanto riportato da Fanpage: “L’ufficiale del Sisde Gianfranco Gramendola, che dai primi giorni frequentò casa nostra per le indagini, un giorno venne e disse: ‘Abbiamo trovato la persona giusta che vi aiuterà, l’ha portata proprio la mano di Dio, si chiama Egidio.’ In principio mio padre e mio zio erano dubbiosi, non conoscevano questo avvocato e soprattutto mio zio avrebbe preferito il suo avvocato, tra l’altro all’epoca un avvocato importante, l’avvocato [Adolfo] Gatti. Ma alla fine si convinsero anche perché questo Egidio, essendo vicino alle forze dell’ordine, poteva aiutare di più.”
Sul Corriere della Sera del 28 luglio 1983, un articolo a firma di Andrea Purgatori, riporta una dichiarazione rilasciata da Meneguzzi a ridosso di un colloquio con il magistrato impegnato nelle indagini: “Sono stato io a nominare l’avvocato Egidio perché lo ritengo più adatto a questo genere di cose del mio legale abituale, l’avvocato Gatti.”
“Un’affermazione che non convince”, considera Purgatori nell’articolo: “Se, infatti, è vero che Gennaro Egidio si è occupato del caso Rotschild-May-Guerin (rapimento, omicidio o disgrazia?) è anche vero che l’avvocato Adolfo Gatti, un penalista tra i più conosciuti, si è occupato del rapimento Bulgari.” “Dunque, quale sarebbe il ‘genere di cose’ per cui lo zio di Emanuela ritiene più esperto Egidio?”, si chiede quindi Purgatori.
“Meneguzzi estraneo ai fatti”
Il Corriere della Sera di ieri propone un’intervista a un investigatore che ha a lungo indagato sulla vicenda, oggi in pensione. Che ritiene lo zio di Emanuela del tutto estraneo ai fatti. “Su Mario Meneguzzi ci attivammo, su nostra iniziativa autonoma, fin dalle primissime ore”, dichiara. “Ci colpì quel suo attivismo eccessivo, i modi di fare di chi sembrava sicuro di essere più importante di un semplice zio di Emanuela Orlandi. Poi però chiarimmo tutto e capimmo anche il perché si comportasse così. Con la sparizione della nipote non ha nulla a che fare.”
L’intervistato considera che, lavorando Meneguzzi al bar della Camera dei Deputati e “avendo amici nei servizi segreti, era normale che anche la famiglia lo investisse del ruolo di risolutore di quella situazione così drammatica. Aveva conoscenze, amicizie, poteva bussare a porte che alla famiglia sarebbero state invece precluse. Ripeto, si rivelò al di sopra di ogni sospetto.”
A proposito dell’avvocato Egidio, il poliziotto in pensione aggiunge: “Diciamo che forse la professione legale non era la sua attività principale. Ufficialmente gestiva un centro di studi internazionali, era console onorario dell’Oman.”
E, in tema di scenari investigativi, conclude: “Tra tutte le tantissime piste prese in considerazione e seguite, la più probabile, anche se non dimostrata, resta quella di una sovrapposizione tra un caso di pedofilia interna al Vaticano e un inserimento di soggetti esterni che hanno provato a usare il caso a loro vantaggio. Penso alla banda della Magliana e al tentativo di riavere somme di denaro dal cardinale Marcinkus. Qualcosa di simile a quanto accaduto con Calvi.”
“La pista amical-parentale è la più credibile”
Di diverso avviso il giornalista Pino Nicotri, per trentacinque anni collaboratore de L’Espresso, autore di quattro libri sulla vicenda. Nell’ultimo, Emanuela Orlandi: il rapimento che non c’è, propone una confutazione delle varie piste delineatesi nei decenni – dai Lupi Grigi alla Banda della Magliana, dalle ossa nella Nunziatura alla tomba del cimitero Teutonico – che puntavano sempre il dito contro il Vaticano e la Santa Sede. Intervistato da La Nuova Bussola Quotidiana, Nicotri considera, tra l’altro: “è stato lui [Meneguzzi] il primo a ventilare l’ipotesi del rapimento quando non c’era assolutamente alcunché che potesse farlo legittimamente sospettare, se non un po’ di isteria in Vaticano successiva all’attentato a Giovanni Paolo II.”
A proposito dello scambio epistolare tra Casaroli e il padre spirituale di Natalina Orlandi, Nicotri afferma: “Questa rivelazione, però, intanto consente di scoprire che il Vaticano, perennemente accusato da tutti di reticenza, in realtà ha trasmesso i documenti – compresa l’informativa relativa a quest’episodio del 1978 – alle autorità italiane. Peraltro, sappiamo che il Vaticano all’epoca delle indagini permise ai servizi segreti italiani di controllare le telefonate sul proprio territorio. Sarebbe interessante sapere che fine hanno fatto le relazioni degli agenti italiani su quanto ascoltato nelle intercettazioni ai centralini vaticani. Si può dire che il Vaticano ha collaborato oltre il proprio dovere. E poi, mi lasci dire, che questa storia che se un Papa fa un appello i rapitori si allineano pecca di presunzione. Lo aveva dimostrato già l’appello di Paolo VI ai brigatisti nel rapimento Moro, figuriamoci se i rapitori fossero stati musulmani! Personalmente credo che quegli appelli il Papa li fece per generosità.”
Sull’incarico conferito all’avvocato Egidio perché ritenuto più esperto in “questo genere di cose” rispetto al collega Gatti: “Si dà il caso”, sono sempre le parole di Nicotri, “che Adolfo Gatti si fosse già occupato ai massimi livelli di ‘questo genere di cose’ essendo stato l’avvocato scelto come mediatore da Gianni Agnelli in occasione del rapimento della suocera, Carla Ovazza. Stupisce, inoltre, che Meneguzzi, titolare del bar della Camera dei Deputati, potesse avere come ‘avvocato usuale’ quello che era considerato il miglior penalista d’Italia.
E sull’alibi di Meneguzzi per il giorno della scomparsa? “C’è da dire che solamente 110 chilometri separano Torano da Roma. Ercole avvisò Meneguzzi del mancato rientro di Emanuela con una telefonata a mezzanotte nella casa di Torano: lo zio, teoricamente, avrebbe avuto tutto il tempo di andare e tornare da Roma. Con questo non voglio dire che Meneguzzi è colpevole, io sono garantista. Ma tra l’ipotesi che sia coinvolto Wojtyła e quella che sia coinvolto un parente o un amico di famiglia mi pare lapalissiano quale sia la più verosimile.”