Roma. In un frangente in cui, anche grazie al successo internazionale di Vatican Girl, il documentario prodotto da Netflix, si sta insistentemente riparlando di Emanuela Orlandi e dei possibili scenari sottesi alla sua scomparsa, non potevano mancare nuove rivelazioni di Alì Ağca, l’uomo che sparò a papa Wojtyla nel maggio 1981 e che oggi – in una lettera al fratello della giovane, Pietro Orlandi – propone una ulteriore interpretazione della vicenda. Ağca, oggi 64enne, ormai libero e senza carichi penali pendenti, vive attualmente a Istanbul insieme alla moglie italiana Elena Rossi, sposata nel 2015. Nella lettera, di cui Pietro Orlandi ha confermato l’autenticità al Corriere della sera, il turco esordisce con un riferimento all’attentato del 1981, che lo vide protagonista. E ne propone una ricostruzione che intende apparire spiazzante. Scrive: “[L’attentato] non aveva alcun mandante, nessuno mi ha chiesto di uccidere il Papa e nessuno mi ha pagato per farlo. In Piazza San Pietro ero solo e ho sparato due colpi. Quelle che erano le mie motivazioni di allora, sono indicate chiaramente nella lettera che scrissi nel 1979 in occasione della visita di papa Wojtyla in Turchia.” La lettera menzionata fu inviata da Ağca il 27 novembre 1979 – due anni prima dell’attentato – al giornale turco Milliyet: nel testo, egli stesso, sostanzialmente, minacciava che avrebbe colpito Giovanni Paolo II se il pontefice (da lui definito “il Capo dei crociati”) avesse fatto visita alla Turchia.
Dunque, afferma oggi Ağca, “la ‘pista bulgara’ è una completa invenzione, […] interamente costruita a tavolino dai servizi segreti vaticani e dal Sisde, il servizio segreto civile italiano, con la benedizione della Cia di Ronald Reagan, il maggiore alleato di papa Wojtyla.”
Fatta questa premessa, nella lettera al fratello della giovane, Agca affronta direttamente il rapimento Orlandi, secondo lui collegato a quello di Mirella Gregori. “Papa Wojtyla credeva profondamente nel Terzo Segreto di Fatima e credeva anche nella missione che Dio gli assegnava, ovvero la conversione della Russia.” “[Dopo l’attentato] Wojtyla in persona voleva che io accusassi i Servizi segreti bulgari e quindi il Kgb sovietico. Il premio per la mia collaborazione, che loro mi offrirono e che io pretendevo, era la liberazione in due anni. Io potevo essere liberato tuttavia solo a condizione che il presidente Sandro Pertini mi concedesse la grazia ed esattamente per questa ragione Emanuela e Mirella vennero rapite.” Pertini, però, sottolinea Agca, “non era manovrabile.” Quindi, “i rapimenti di Emanuela e di Gregori furono decisi dal Governo vaticano ed eseguiti da uomini del Servizio segreto vaticano vicinissimi al Papa. La trattativa pubblica era ovviamente una sceneggiata ben orchestrata da pochi alti prelati operanti all’interno dei servizi vaticani.”
“Emanuela Orlandi era un fatto tutto vaticano” conclude Ağca, “ed è stata presa in consegna da alcune suore fin dall’inizio, ha compreso l’importanza del suo ruolo e lo ha accettato serenamente. So di lei soprattutto grazie a un Padre spagnolo che mi ha visitato in Italia e anche qui a Istanbul. Un uomo, un religioso, animato da una fede autentica, che conosce i misteri del mondo e che non mente.”
Tesi, queste, che il Corriere definisce “controverse, discutibili” e che, con perfetto tempismo, giungono a pochi giorni dalla diffusione delle dichiarazioni, registrate dal giornalista Alessandro Ambrosini, di un ex socio di Enrico De Pedis, boss della banda della Magliana. E che evocavano lo sconvolgente scenario di un presunto “sex-gate vaticano”.
In ogni caso, parlando di Agca, Pietro Orlandi riferisce al quotidiano milanese: “Nel 2010 l’ho incontrato a Istanbul e una parte di quell’incontro, 27 minuti, l’ho registrata per farla sentire a mia madre. Ci sono aspetti della sua ricostruzione che possono avere un senso e una loro logica, ovvero il fatto che il rapimento di Emanuela vada collocato nell’ambito di un momento molto complesso della Guerra Fredda. Comunque, in un modo o nell’altro, io sono convinto che si tratti di una vicenda strettamente vaticana. Può essere vero che Ağca sia stato usato e manipolato da forze più grandi di lui per compiere un attentato al Papa la cui responsabilità sarebbe stata poi addossata, in via diretta o indiretta, all’Unione Sovietica.”
Orlandi, comunque, ritiene che non si debbano escludere anche altre piste: “Mi devo attenere alle evidenze concrete che possono emergere, non escludendo alcun filone d’indagine. La pista dei giochi erotici non va anch’essa esclusa. Ağca mi ha parlato di un certo padre Lucien, colombiano dell’Opus Dei, incontrato anche 3 anni fa in Turchia. Agca mi ha detto: a Villa Tevere qualcuno ti può aiutare, ma io all’epoca non sapevo nemmeno cosa fosse, che si trattasse della sede centrale dell’Opus. Forse c’è un legame tra le varie piste.”
Nel frattempo, su proposta di Francesco Silvestri (M5s), è stata presentata una proposta di legge per l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. In un post, Silvestri ha dichiarato in proposito: “Questa mia iniziativa deriva dalla convinzione che, come ha ricordato il fratello di Emanuela, il caso presenta nuovi elementi di indagine che riguardano anche i rapporti tra il Sismi e la procura di Roma. Per me è importante sottolineare che questa necessità di giustizia non riguarda solo la famiglia Orlandi e l’Associazione Penelope, ma tutti i cittadini, che devono pretendere delle risposte dallo Stato della Città del Vaticano.”