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Sanità, retina artificiale su paziente non vedente 91enne: è il primo in Italia

Alessandra Ciciotti di Alessandra Ciciotti
13 Settembre 2022
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Roma. Si accende la speranza per tanti pazienti in Italia gravemente ipovedenti o legalmente non vedenti a causa di una malattia degenerativa che colpisce la retina e che, tuttora priva di cura, ruba la vista: la maculopatia atrofica. Un 91enne è il primo paziente in Italia cui è stata impiantata una retina artificiale che potrebbe ripristinare in parte la sua visione.

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Il paziente operato soffre da dieci anni di degenerazione maculare di tipo atrofico, ormai evoluta allo stadio terminale (detto di atrofia geografica). Durato circa due ore, l’intervento è stato eseguito al San Giovanni Addolorata di Roma da Marco Pileri, nell’ambito del trial clinico muulticentrico internazionale ‘PRIMAvera’ coordinato per l’Italia dal Consorzio tra l’Università di Tor Vergata e il Presidio Britannico del San Giovanni. “La nostra aspettativa è di farlo ricominciare a leggere lettere, numeri, parole e anche piccole frasi”, spiega all’ANSA Andrea Cusumano, Direttore Scientifico del progetto in Italia dove i pazienti che riceveranno la retina artificiale sono per ora 5. PRIMAvera arruolerà inizialmente in tutto 38 pazienti in diversi Paesi europei.

 

“I risultati preliminari sono attesi entro fine anno – afferma Cusumano – mentre per la valutazione complessiva dello studio ci vorranno 3 anni”. “Prevediamo di operare a breve i prossimi due pazienti, uno domani”, anticipa Cusumano. Il 91enne è stato già dimesso. “Lo rivediamo tra sette giorni e tra 3-4 settimane accenderemo il chip e inizieremo il periodo di riabilitazione visiva che dura circa sei mesi e richiede alcuni incontri scadenzati per tutto il periodo”. Ad essere impiantato è un microchip (PRIMA) di minuscole dimensioni (meno di un terzo di un capello), wireless, e che ha bisogno di una chirurgia mininvasiva. Funziona con l’ausilio di un’apparecchiatura esterna: occhiali
con una mini-fotocamera integrata per acquisire le immagini e un computer tascabile che le trasforma in un ‘disegno’ di luce inviato poi alla retina da un proiettore montato sugli occhiali. Il microchip traduce la luce in stimoli elettrici che viaggiano sul nervo ottico verso la corteccia visiva. La cosa importante di questi chip, precisa Cusumano, è che sono modulabili, ovvero potenzialmente si possono mettere uno accanto all’altro quindi si possono impiantare in serie più microchip per aumentare l’ampiezza del campo visivo. Ciò è cruciale anche nell’ottica di traslare a lungo termine l’uso clinico di questa tecnologia ad altre malattie retiniche, come la retinite pigmentosa, la distrofia dei coni e altre patologie di tipo eredofamiliare, per le quali sarà presentata alla fine del trial clinico in corso un’altra richiesta di autorizzazione. “Potenzialmente in Italia ne potrebbero beneficiare circa 20 mila pazienti considerando appunto anche quelli con malattie della retina eredofamiliari”, conclude Cusumano, ma ovviamente ci vuole del tempo per coronare questo sogno. La degenerazione maculare
legata all’età è una delle patologie più gravi della vista. Nella malattia, che ufficialmente in Italia colpisce almeno un milione di pazienti (ma in realtà c’è fino a un 30% in più di individui non diagnosticati), a degenerare è la ‘macula’, area centrale della retina cruciale per la visione dei dettagli, per riconoscere i volti, i colori, leggere e guidare. La malattia rappresenta la prima causa di cecità legale e ipovisione nel mondo
occidentale e colpisce principalmente over-65. La maculopatia può essere di due tipi, la forma atrofica (secca) incurabile che riguarda circa 850.000 italiani, e la forma essudativa (umida), il cui decorso si può frenare con delle iniezioni intravitreali (circa 150.000 pazienti). Circa 200.000-300.000 pazienti sono in fase avanzata di malattia.

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