L’Aquila. La sanità pubblica italiana, un settore a netta prevalenza femminile con oltre il 75% di infermiere donne, si trova di fronte a una grave contraddizione: l’incompatibilità tra il lavoro in corsia e la genitorialità. È l’allarme lanciato da Marco Ceccarelli, segretario nazionale del COINA (Sindacato delle Professioni Sanitarie), che denuncia come migliaia di professioniste siano costrette a rinunciare alla carriera o addirittura al lavoro a causa di un sistema che non tutela la maternità.
Secondo un nuovo report del sindacato, le condizioni attuali – tra cui la rigidità dei turni ospedalieri, la quasi totale assenza di part-time mattutini e la mancanza di supporti personalizzati al rientro dalla maternità – stanno spingendo le infermiere a lasciare il settore pubblico. Un trend confermato anche dall’Istat, che nel 2022 ha rilevato come una donna su cinque nel mondo del lavoro, con la sanità in prima linea, abbia lasciato dopo il primo figlio. Le dimissioni volontarie dal settore pubblico sono allarmanti: oltre 20mila nei primi nove mesi del 2024, con almeno la metà riguardanti proprio le donne.
Le ripercussioni di queste condizioni si riflettono direttamente sul benessere psicofisico delle professioniste. Dati europei, integrati nel report COINA, indicano che oltre l’80% delle infermiere italiane manifesta sintomi di esaurimento emotivo. Tra queste, le madri infermiere sono le più esposte al burnout, gravate da un “carico invisibile” che le vede responsabili non solo del lavoro in ospedale, ma anche della cura di figli, mariti e genitori anziani, spesso senza alcun supporto istituzionale.
A peggiorare il quadro, il 72% degli episodi di aggressione fisica o verbale in ambito sanitario colpisce operatori di sesso femminile, con picchi nei pronto soccorso e nei reparti di medicina interna, come rivelano i dati INAIL e dell’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza delle Professioni Sanitarie.
In un’Italia che registra uno dei tassi di natalità più bassi d’Europa, la precarietà lavorativa e gli stipendi fermi da anni diventano un forte disincentivo alla maternità. Un recente sondaggio interno del COINA, su un campione di 4.800 lavoratrici in 9 regioni, mostra che il 63% delle giovani operatrici sanitarie dichiara di rimandare o rinunciare alla maternità a causa di motivi legati al lavoro.
“Le madri infermiere non chiedono favoritismi, ma diritti esigibili e strumenti reali per restare nella sanità pubblica”, afferma Ceccarelli. Il segretario nazionale del COINA sottolinea come la perdita di migliaia di professioniste, spinte verso RSA o servizi a bassa intensità assistenziale compatibili con la vita familiare, si traduca in una “fuga silenziosa” che depaupera gli ospedali di competenze preziose.
Per invertire questa rotta, il Coordinamento Nazionale degli Infermieri Avanzati propone un “patto per la sanità pubblica a misura di donna”, articolato su diverse direttrici:
- Criteri trasparenti per il part-time, con priorità alle madri.
- Piattaforme digitali per l’autogestione dei turni su base volontaria.
- Sportelli aziendali per la conciliazione con supporto psicologico e legale.
- Asili nido ospedalieri e convenzioni familiari.
- Introduzione di indicatori di benessere nella valutazione delle aziende sanitarie.
- Piani di rientro personalizzati e graduali dopo la maternità.
Il COINA conclude chiedendo alle istituzioni l’apertura immediata di un tavolo nazionale per la redazione di una legge quadro sulla conciliazione tra vita e lavoro nelle professioni sanitarie, con un focus sul personale femminile. “È tempo di agire. Lasciare che un intero pezzo del sistema sanitario venga espulso per mancanza di ascolto è una scelta politica. E noi la denunciamo, in ogni sede possibile”, ha chiosato Ceccarelli.