Redazione – Come purtroppo ricordiamo, il 18 gennaio 2017 una valanga nella località di Rigopiano in Abruzzo colpì rovinosamente un Resort-hotel. L’evento, che determinò la perdita di alcune persone, fu osservato solo da due testimoni che, fortunosamente, si trovavano all’esterno dell’edificio.
Tanti sono gli interrogativi e le ipotesi che ruotano intorno a questa tragica vicenda. Uno studio multidisciplinare a cura dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), del Politecnico di Torino, del WSL Institute for Snow and Avalanche Research SLF di Davos (CH) e dell’Osservatorio di Geofisica dell’Università di Monaco (DE) ha cercato di fornire delle risposte sulle tempistiche e sulle dinamiche della valanga.
La ricerca “Seismic signature of the deadly snow avalanche of January 18, 2017, at Rigopiano (Italy)”, appena pubblicata sulla rivista Scientific Reports, ha appurato che tutto è accaduto in poco meno di un minuto e mezzo. La valanga si è staccata dal Monte Siella alle ore 15:41:59 (orari UTC), nel suo percorso verso la valle è entrata in un canyon e all’incirca alle 15:43:20 ha colpito l’hotel di Rigopiano ad una velocità di circa 100 km orari.
Per giungere a questo risultato così preciso, i ricercatori hanno prima analizzato la tempistica delle telefonate di soccorso così come riportate dalla cronaca giornalistica e poi valutato numerosi dati tra cui l’analisi della Rete Sismica Nazionale e la modellazione numerica della valanga, elaborati poi in studi ingegneristici e sismogrammi teorici ottenuti attraverso simulazioni.
Questo lavoro così complesso e multidisciplinare evidenzia una nuova lettura della dinamica dell’evento suggerendo, tra l’altro, potenziali utilizzi non tradizionali di una rete di monitoraggio sismico.
“Una prima ipotesi”, afferma Thomas Braun, uno degli autori della ricerca, “nata dall’osservazione di un segnale sismico sospetto, è stata quella che tale segnale fosse dato dall’impatto della valanga stessa con l’albergo. Un’analisi più approfondita ha rivelato, invece, l’esistenza di tre distinte fasi sismiche, che potevano sostenere una seconda l’ipotesi, quella che la valanga si fosse propagata verso valle in tre fasi consecutive.
Per giungere a questi risultati come prima cosa abbiamo ristretto la finestra temporale in cui è avvenuta la valanga”, spiega Thomas Braun, “Per fare ciò ci siamo basati sulla cronologia e sul contenuto delle chiamate e dei messaggi di emergenza inviati dall’hotel. Alle 15:30 (orari UTC) è avvenuta l’ultima chiamata dalla struttura mentre alle 15:54 c’è stato un tentativo di invio di un messaggio WhatsApp di richiesta di aiuto da una persona rimasta bloccata dalla neve. Abbiamo dedotto che la valanga è avvenuta in questa finestra temporale di 24 minuti. Successivamente abbiamo cercato dei segnali sismici ipoteticamente generati dalla valanga. In quel periodo eravamo nel pieno della sequenza sismica dell’Italia centrale, con epicentri a circa 45 km a ovest di Rigopiano. Analizzando i segnali registrati dalle stazioni sismiche, abbiamo notato che la stazione GIGS posizionata sotto il Gran Sasso, aveva registrato un segnale anomalo nei 24 minuti identificati come finestra temporale del distacco della valanga. Di questo segnale”, prosegue il ricercatore, “abbiamo poi studiato il contenuto spettrale e la direzione di provenienza osservando così tre distinte fasi sismiche avvenute a distanza di pochi secondi. La domanda decisiva che nasce da tale osservazione è come una valanga, che si muove in superficie, possa trasmettere energia sismica nel sottosuolo.
Sulla base della topografia del luogo, tenendo conto della tipologia, della temperatura e dell’umidità della neve, sono state eseguite centinaia di modellazioni numeriche per ricostruire il tragitto e la dinamica della valanga, che hanno fornito risposta al quesito: lungo la traiettoria della valanga esistono tre punti dove il “momento”, dato dal prodotto altezza per velocità della valanga, diventa massimale. Questi punti corrispondono al passaggio della valanga nel canyon, esattamente, all’entrata, e alle due successive deflessioni. Il lavoro appena pubblicato ha quindi permesso di sincronizzare le modellazioni con le osservazioni e di stimare i tempi dell’evento.
“La ricostruzione dell’evento”, aggiunge Thomas Braun, “ha evidenziato che la valanga nella discesa verso valle ha percorso in tutto 2400 metri e ha travolto alberi e rocce, cambiando massa con incremento continuo del proprio peso specifico. Oggi sappiamo che la velocità con cui la valanga ha colpito l’albergo è stata di 28 metri al secondo, quasi 100 km orari. I ricercatori dell’Università di Monaco hanno calcolato dei sismogrammi teorici che – comparati con il segnale registrato alla stazione GIGS – trovano maggiore coerenza se si assume che il segnale sismico fosse stato generato durante il passaggio della valanga nel canyon.
I ricercatori del Politecnico di Torino, invece, hanno studiato in dettaglio, dal punto di vista ingegneristico, l’impatto, il collasso e la dislocazione dell’edificio principale dell’hotel e, insieme con il WSL Institute for Snow and Avalanche Research SLF di Davos, hanno indagato sulla dinamica della valanga analizzando la topografia del pendio prima e dopo l’evento.
“Attraverso le nostre analisi”, conclude il ricercatore, “è stato possibile determinare anche l’esatto orario in cui si è generata la valanga e quello in cui è stato colpito l’hotel.
Applicando questa metodologia multidisciplinare, si può quindi immaginare un potenziale uso della rete di stazioni sismiche, appositamente configurata per i territori montani, per monitorare valanghe in luoghi remoti e impervi, utile per una più completa comprensione del fenomeno”.