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Rigopiano: due anni di dolore, rabbia e ricerca di una giustizia smarrita, tra passerelle politiche e appelli lasciati cadere nel vuoto

Federico Falcone di Federico Falcone
18 Gennaio 2019
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Farindola. Il 18 gennaio del 2017 l’Abruzzo veniva colpito da un’ondata di maltempo come raramente si è visto negli ultimi anni. Le ingenti nevicate, che nel giro di poche ore imbiancarono gran parte delle quattro province, ebbero delle conseguenze disastrose. L’hotel Rigopiano di Farindola, teatro della tragedia che si sarebbe consumata da lì a poco, si trovò al centro di una bufera di neve. Ad alimentare una situazione già di per sé instabile, quattro scosse di terremoto. L’ultima, la più forte, si rivelò decisiva a scatenare l’inferno.

Il movimento tellurico smosse la neve accumulata – alta più di due metri – provocando una slavina che si abbatté con straordinaria potenza sul resort. Gli ospiti presenti all’interno dell’hotel ebbero la percezione che qualcosa di grave avrebbe potuto accadere ma, nonostante si preparano a lasciare la struttura, il tempo necessario per fuggire da quel vicolo cieco non fu sufficiente. Come nel più realistico film hollywoodiano vennero investiti e sommersi dalla forza dirompente della natura. Il bianco della neve che fino a pochi minuti prima illuminava le stanze dall’albergo fu improvvisamente oscurato da una valanga. Tutto accadde tra le 16.00 e le 17.00

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Intorno alle 17.15 arrivarono le prime, disperate, richieste di aiuto. “L’albego è crollato”, “siamo seppelliti vivi”, “fate presto, vi prego”.  I primi soccorsi, però, iniziarono a muoversi solo due ore dopo la slavina, arrivando all’hotel solo all’alba del 19 gennaio. A dare il primo allarme fu un sms spedito da due clienti riusciti a rifugiarsi all’esterno della struttura pochi secondi prima del disastro. Intorno alle 19.00 si diffuse la notizia del disastro.

Prima si arrese il gatto delle nevi, lasciando andare avanti le turbine dei pompieri, poi, essendo la neve troppo abbondante, la tormenta così violenta, le ramaglie, gli alberi divelti e le pietre sulla strada così tante, si decise di procedere a piedi. Scelta forzata, non fu possibile fare altrimenti. Ci vollero 20 ore perché l’intera macchina dei soccorsi raggiungesse Rigopiano. Lo scenario che si presentò agli occhi dei soccorritori fu impressionate: cumuli di macerie ricoperti da neve, detriti, alberi sradicati e massi. Le ricerche sono frenetiche e, nonostante il loro encomiabile e incessante lavoro, alla fine le vittime saranno ventinove. Undici, invece, i sopravvissuti. Il resto è storia ben nota, purtroppo.

Cosa accadde realmente in quelle ore è, a distanza di due anni, ancora al centro di una fitta indagine della magistratura. Molti dettagli di quelle tragiche e convulse ore sono stati chiariti, altri, invece, sono ancora da decifrare. Il dolore e lo sgomento dei parenti e amici delle vittime non accenna a diminuire. Come potrebbe essere altrimenti? La domanda più ricorrente resta sempre la stessa: “perchè non li hanno ascoltati?”, immediatamente seguita da “avrebbero potuto salvarsi?”. Non sta a noi dare risposte, ma ventiquattro mesi dopo una delle pagine più drammatiche della storia recente d’Abruzzo, la verità è ancora nebulosa e avvolta da più ombre che luci.

Qualche giorno fa avevamo raccontato il dramma nel dramma del padre di Stefano Feniello che, nel recarsi sul luogo dove il figlio Alessio ha perso la vita, è stato multato con 4.550,00 euro poiché introdottosi in un’area sotto sequestro (a questo link l’assurda vicenda). Subito è scattata la solidarietà popolare, tra chi ha dato disponibilità a pagare la multa, chi ha proposto una colletta per sostenere le spese legali e chi, invece, ne ha approfittato per buttarla in caciara con il solo fine di ottenere un minimo di consenso.

Sono giorni di campagna elettorale, questi. Il 10 febbraio l’Abruzzo eleggerà il suo nuovo governatore e, quindi, ogni occasione è buona per mostrarsi in pubblico. Anche quando, onestamente, il silenzio avrebbe più senso di tanti proclami e passerelle. Non dateci dei maliziosi, la realtà è sotto gli occhi di tutti. A chi parla di sostegno ai parenti delle vittime, a chi invita a non dimenticare, a chi auspica che la magistratura faccia il proprio corso, e poi, ancora, a chi preferisce esporsi dietro una telecamera, un microfono e, infine, dietro frasi fatte, è bene ricordare che l’anno è composto da dodici mesi e trecentosessantacinque giorni. Per un giorno, o due, forse, sarebbe meglio lasciare da parte la facciata e l’estemporaneità. Chi ha vissuto una tragedia simile non necessità del supporto occasionale, ma costante. Non necessità di slogan, ma di risposte. Si chiama senso dell’opportunità. Si chiama rispetto.

 

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