La “montagna madre” d’Abruzzo svela un’altra inedita storia bellica, che vede ancora come protagonista un bombardiere americano. Dopo la vicenda del B-17G precipitato sulle pietraie sotto i Tre Portoni il 2 novembre 1944, il team di ricerca Macr – sempre in collaborazione con l’Associazione “Archeologi dell’Aria” – è venuto a capo anche di un altro mistero della Maiella. È stato identificato, infatti, il B-24H “Liberator” americano i cui resti erano stati segnalati sparsi tra i blocchi rocciosi dell’alta Valle del Forcone, al cospetto di Cima Murelle: l’aereo aveva il numero di serie 42-95239, apparteneva al 727° Bomber Squadron (451° Bomber Group “Heavy”) ed era stato soprannominato “Ape” (“scimmia”).
Questo bombardiere si schiantò sull’impressionante parete Nord del Monte Acquaviva il 4 novembre 1944 – solo due giorni dopo il tragico impatto del B-17G – mentre rientrava dalla missione n. 144 sullo scalo di smistamento ferroviario di Kufstein in Austria. Ai comandi del B-24H c’era il sottotenente William R. Young e con lui a bordo c’erano altri 10 membri dell’equipaggio, con età compresa tra i 20 e i 29 anni (scheda completa a fine articolo), tutti deceduti e in seguito insigniti delle onorificenze Air Medal e Purple Heart. Di questi sfortunati aviatori ben sette – fra i quali anche il pilota Young – sono stati sepolti in Italia nel Cimitero americano di Firenze. Lo stesso dove riposano anche il pilota e il navigatore del B-17G caduto 48 ore prima sotto i Tre Portoni. Ad analizzare sul campo i rottami del B-24H, utilizzando come base il rifugio Martellese e in accordo con il Parco Nazionale della Maiella e il Reparto Carabinieri Biodiversità di Pescara, sono saliti i membri del gruppo Maiella Air Crash Research – Lorenzo Grassi, Lucio Le Donne, Luciano Schiazza, Enrico Siena e Maria Luisa Tricca – insieme all’ingegnere Gianluca Mazzanti dell’Associazione “Archeologi dell’Aria”. Quest’ultimo, analizzando i rottami documentati dal team Macr nella Valle del Forcone, intorno ai 2.000 metri di quota, ha identificato con certezza il velivolo, collegandolo alla documentazione storica d’archivio.
Così è venuta fuori una storia al limite dell’incredibile. Il B-24H “Ape”, infatti, il 4 novembre 1944 era partito dalla base di Castelluccio dei Sauri in Puglia, dove avrebbe dovuto far ritorno insieme agli altri bombardieri al termine del raid in Austria. Invece fu visto per l’ultima volta mentre era in volo sull’Adriatico al largo di Rimini. Negli archivi ci sono le dichiarazioni dell’unico testimone, il tenente Raymond K. Henley, che era a bordo di un altro velivolo dello stesso stormo: Henley riferisce che “Ape”, verso le ore 14 del 4 novembre 1944, “si è staccato senza alcun apparente motivo dalla formazione”. Il bombardiere – che non era stato colpito da alcuna contraerea né attaccato da caccia tedeschi – iniziò a dirigersi in solitario verso la costa, scomparendo presto alla vista del testimone, quanto mai stupito per questo comportamento anomalo. “La spiegazione più credibile – spiega Gianluca Mazzanti – potrebbe essere quella di un improvviso malfunzionamento del sistema centrale di erogazione dell’ossigeno, che in breve avrebbe fatto perdere i sensi contemporaneamente a tutto l’equipaggio, finito in ipossia per la quota. Non si giustifica altrimenti l’assenza di qualsiasi reazione: nessuna correzione della traiettoria di volo, nessuna comunicazioni radio e nessun lancio con i paracadute. Il B-24H ha proseguito inerte, con il pilota automatico, sino allo schianto sulla Maiella”. Gli studiosi americani Michael D. Hill e John R. Beitling, autori del libro “B-24 Liberators of the 15th Air Force/49th Bomb Wing in World War II”, hanno ipotizzato che “Ape” possa aver avuto un problema meccanico. “Ma questa versione contrasta con quanto affermato dal tenente Henley e registrato nella documentazione ufficiale – sottolinea Mazzanti – da cui emerge che il velivolo era in stato di apparente efficienza. È difficile comunque sapere con certezza cosa avvenne davvero quel pomeriggio di inizio novembre del 1944”. Di certo mette i brividi pensare al grande bombardiere “Liberator” che lascia la distesa del mare e vola per centinaia di chilometri sino alla barriera naturale della Maiella, senza governo e con l’equipaggio “addormentato”, viaggiando inesorabilmente verso il suo tragico destino.
Il fatto che l’ultimo avvistamento del B-24H sia avvenuto sul mare, ha depistato per lungo tempo i tentativi di identificazione. Lo schianto sulla montagna, però, non passò inosservato tra gli abitanti dei paesi ai piedi della valle, in particolare a Palombaro. In diversi si avventurarono così coraggiosamente sino al relitto che, come è avvenuto in tanti altri casi durante il primo periodo post bellico, divenne fonte di preziosi materiali da riutilizzare in quei tempi di stenti e di estrema povertà. La Valle del Forcone fu poi raggiunta da una spedizione ufficiale americana, partita sempre da Palombaro, per procedere con estrema riservatezza alla triste operazione di recupero di quel che restava dei corpi degli 11 aviatori. In seguito sulla vicenda è calato un fitto velo di oblio e se n’è persa completamente la memoria. Eppure, ogni primavera, i ghiacci del vallone restituivano alla vista quegli enigmatici rottami mangiati dalla ruggine. Nessuno però sapeva più a quale aereo fossero appartenuti. Curiosità e studio ora hanno restituito a questa storia il valore che merita.
La lista dell’equipaggio del B-24H. Questo è l’elenco completo dell’equipaggio morto nell’impatto contro la parete Nord del Monte Acquaviva il 4 novembre 1944. Il più giovane a bordo del B-24H era il mitragliere 20enne Dubuisson, il più “anziano” il fotografo 29enne Gurunian. Tra le coincidenze più tristi quella del mitragliere Price, che avrebbe compiuto 23 anni due giorni dopo lo schianto. Pilota Sottotenente William R. Young, originario dell’Ohio (Florence American Cemetery) – Copilota Sottotenente James F. Mark, originario del Kentucky (Florence American Cemetery) – Navigatore Ufficiale di volo 29enne J. W. Morris, originario dell’Illinois era nato il primo novembre 1915 e dunque al momento dell’incidente aveva compiuto gli anni da tre giorni (Florence American Cemetery) – Bombardiere Ufficiale di volo 21enne Jerold Dwight Smith, originario del Texas era nato il primo febbraio 1923 (Forest Park Cemetery di Houston in Texas) – Mitragliere torretta dorsale Sergente 24enne Gerald J. Bousquet, originario del Rhode Island era nato nel 1920 (Florence American Cemetery) – Mitragliere torretta ventrale Sergente 22enne Robert K. Ferguson, originario del Michigan era nato il 20 luglio 1922 (Oak Hill Cemetery di Aloha nel Michigan) – Mitragliere postazione laterale destra Sergente Charles A. Wehn, originario del Michigan (Holy Sepulchre Cemetery di Southfield in Michigan) – Mitragliere postazione laterale sinistra Sergente 20enne Thomas Erie Dubuisson, originario della Florida era nato il 19 ottobre 1924 (Florence American Cemetery) – Mitragliere torretta caudale Sergente 21enne Henry E. Shields, originario dello Iowa era nato nel 1923 (Florence American Cemetery) – Mitragliere torretta anteriore Sergente 22enne William James Price, originario della North Carolina era nato il 6 novembre 1921 e dunque avrebbe compiuto 23 anni due giorni dopo lo schianto (Forsyth Memorial Park di Winston-Salem in North Carolina) – Fotografo Sergente scelto 29enne George A. Gurunian, originario del Michigan era nato ne 1915 (Florence American Cemetery)
Il racconto di Giuseppe Di Simone, uno degli abitanti di Palombaro che salirono in quota subito dopo la tragedia, ricorda che un mese dopo lo schianto del B-24H, c’erano ancora i cadaveri sparsi sul terreno, a poca distanza dall’aereo. Il bombardiere appariva invece relativamente intatto, con l’ala sinistra che sembrava aver urtato la parete ed era stata sbalzata più lontano. Anche dentro l’ala, e questo lo colpì molto, era rimasto un corpo. Nel suo libro “50 e più racconti per ricordare, 50 e più storie da raccontare” Giuseppe Di Simone ha scritto: “Dal giorno dopo la prima esplorazione sul Monte Acquaviva, cominciai a pregare mio padre di darmi il permesso di tornare lì una seconda volta allo scopo di poter prendere quella gomma che avevo visto nel fusto di cherosene per poterla utilizzare per ricostruirci il fondo delle scarpe. Si disse in giro che con la stoffa di seta dei paracadute le signorine del tempo si cucirono delle camicette. Dopo poco tempo mio padre mi dette il permesso di tornare nei pressi dell’aeroplano, solo per prelevare la gomma che mi serviva. Appena ricevuto il permesso, chiesi ad un cugino di terzo grado, Carmine Di Simone, se voleva venire con me. Lui aveva 22 anni ed era fidanzato. Costui, preso dalla curiosità, non esitò ad accettare. Non avendo mai messo piede in montagna, mio cugino mi chiese se conoscessi la strada. Io gli garantii che ci ero stato pochi giorni prima”. “In poco tempo mi procurai quelle poche cose che mi servivano: scalpello, martello e qualche cacciavite. Una volta pronta l’attrezzatura – prosegue il racconto di Giuseppe Di Simone – feci il programma: mio fratello, a una certa ora avrebbe dovuto portarsi ai piedi della montagna con la giumenta e tagliare alcuni rami per nasconderci la gomma. Con mio cugino fissammo il giorno e l’orario di partenza. Mi disse che sarebbe tornato dalla contrada Limiti, dove abitava la sua fidanzata, verso mezzanotte e fu quello l’orario in cui saremmo dovuti partire. Prendemmo tutto quello che ci poteva servire oltre all’attrezzatura (acqua e panini) e cominciammo il cammino. Ci aspettavano otto ore di viaggio, ma al sorgere del sole avevamo già scalato due cime: Morgione e Fontanella. Prima di giungere nel luogo interessato dovevamo ancora scalare la cima di Maciarinella, Cima del Capraro e Cima del Forcone dove, da quest’ultimo, si potevano scoprire i rottami del quadrimotore. Le ultime tre cime erano coperte di pino mugo, un tipo di albero che cresce non in altezza ma allungandosi lungo le rocce ed è impenetrabile. Questo ci creò molti disagi, così spesso dovevamo tornare indietro per rintracciare il sentiero. Arrivati all’ultima cima e vedendo il relitto, ci fermammo per una sosta di circa un’ora, poi ripartimmo verso la parete del Monte Acquaviva. Ci eravamo persino portati dei fazzoletti imbevuti di profumo per non esporci a quell’aria irrespirabile, ma non furono abbastanza. Allora pensammo di prendere il fusto, allontanarlo da quel luogo e di incominciare a prelevare la gomma con scalpello e martello”. “Dopo tre ore di lavoro, riuscimmo a liberare la gomma, la dividemmo a metà e, presa sulle spalle, riprendemmo il cammino per il ritorno. Per il rientro scegliemmo una via più breve, senza saliscendi – ricorda ancora Giuseppe Di Simone – in modo tale da non caricarci il peso della gomma sulle spalle ma da poterla anche trascinare. Dopo alcune ore di cammino ci ritrovammo nella valle tra Palombaro e Pennapiedimonte dove ci stava aspettando mio fratello, caricammo la gomma e ritornammo a casa. Appena arrivati, visto che avevamo riportato quello che tanto desideravamo, mio padre chiamò un suo amico calzolaio che si chiamava Giuseppe D’Angelo, soprannominato Barone, per riparare tutte le scarpe che non potevamo più utilizzare. Rimase per due giorni”.
Per un Museo dell’Aria. Sono ormai una decina i siti di cadute di aerei (di diverse nazionalità) avvenute durante la Seconda Guerra Mondiale che sono stati studiati, individuati e documentati in questi anni dal gruppo Maiella Air Crash Research. I ricercatori lanciano nuovamente un appello a tutti i possibili testimoni di questi tragici episodi o a chi abbia ascoltato e tramandato dei racconti in proposito. Le segnalazioni di ricordi di aerei caduti o di rottami ritrovati nell’area del Parco Nazionale della Maiella e degli Altopiani Maggiori d’Abruzzo possono essere inviate via mail all’indirizzo: [email protected]. “L’importanza e la consistenza di queste memorie tangibili del passato – sottolinea Lorenzo Grassi, componente del team Macr – ci hanno spinti a suggerire sia al Parco Nazionale della Maiella che alle istituzioni locali di prendere in considerazione la creazione di un Museo dell’Aria o, comunque, di esposizioni sul territorio che possano ospitare e illustrare i reperti raccolti in montagna e magari anche gli oggetti riutilizzati nei paesi, riunendoli e ricostruendo le storie di questi velivoli e dei loro equipaggi. Un’operazione allo stesso tempo di divulgazione scientifica e di valorizzazione.
Di seguito il video sul posto dello schianto e una galleria fotografica