Castel di Sangro. Alzata di scudi dei colleghi in difesa dello chef Niko Romito. Una stroncatura senza appelli arriva dal Gambero rosso alla cena servita da Romito al ristorante Bulgari di Roma. Una recensione dal titolo inequivocabile: provaci ancora NiKo.
Lo chef di Castel di Sangro, tre volte stellato è considerato ambasciatore dell’alta cucina abruzzese.
Il caso della stroncatura del Gambero rosso è diventato di interesse nazionale con ristoratori e chef da tutta Italia ad “alzare la voce” contro la rivista e in difesa di chef Romito.
A intervenire altre riviste di settore e chef, che hanno difeso il collega abruzzese, con il Gambero rosso che ha però risposto per le rime, in nome del diritto di critica, e contro il reato di “lesa maestà”.
Romito, assieme alla sorella Cristiana, è titolare dello storico ristorante Reale a Castel di Sangro, con cui ha ottenuto in soli sette anni 3 Stelle Michelin, a cui si aggiungono importanti riconoscimenti in Italia e all’estero, con una presenza costante nella classifica dei The world’s 50 best restaurants.
Negli anni ha poi lanciato “Spazio”, rete di ristoranti-laboratorio, “Bomba”, lo street food gourmet, il progetto Intelligenza Nutrizionale”, protocollo scientifico studiato per gli ospedali e la ristorazione collettiva, “Alt Stazione del Gusto” a Montesilvano, e ha aperto ristoranti in varie capitali del mondo, come il Luxury a Dubai, nel Bulgari Hotels. Ha ottenuto anche un importante finanziamento dalla Regione Abruzzo per aprire un Campus di ricerca e alta formazione, dedicata al mondo della ristorazione e della cucina, nella sua Castel di Sangro.
La risposta del Gambero Rosso è affidata di Paolo Manfredi con l’articolo “Tifosotti, loggionisti e maestrini. Cosa ci racconta di noi la reazione di massa alla recensione di Niko Romito al Bulgari”
Esordisce Manfredi: “Se la sono presa in tanti perché quattro recensori hanno detto che da Romito non si sono trovati così bene. I tifosotti dei social, con toni che a tratti mi hanno fatto pensare che gli avessero offeso un parente e non si capacitavano dell’ardire”. E prosegue: “più che la critica, mi interessano le reazioni alla critica, che ci dicono esattamente che la critica serve. Anche magari eccessiva, anche gaglioffa e infingarda, ma serve, non solo nel mondo di Barbie della ristorazione. Perché il dissenso e la sua gestione non isterica sono il modo in cui storicamente le culture e le società sono andate avanti, per sintesi di posizioni diverse. Ma l’apparecchio che queste posizioni sintetizzava oggi si è rotto, i pezzi di ricambio non si trovano, e assistiamo tristi alla scomparsa della critica e soprattutto della dialettica, che sulla critica si fonda: brutta storia. Anni fa un libro molto importante per la cultura digitale esordiva dicendo che ‘i mercati sono conversazioni’, il mondo è piatto, non ci sono piedistalli, e in una società e in una cultura (o sub sub cultura come in questo caso) sane posso dire se una cosa non mi piace e ne parliamo e usciamo migliori tutti e due. Il fatto che oggi, vado ben oltre la ristorazione, ogni pensiero rimbalzi solo nelle camere dell’eco delle opposte tifoserie non è una bella cosa”.
Conclude il giornalista enogastronomico: “certamente la dimensione industriale della ristorazione contemporanea, per cui ogni voce dissenziente configura il reato di aggiotaggio di fronte a progetti milionari, non aiuta. ‘Ho speso un botto per mettere su tutto questo circo, diventato un botto e mezzo se ci aggiungo una comunicazione efficace e inclusiva e tu mi vieni a scassare con gli spaghetti asciutti?’. Come ho scritto, questo atteggiamento è diventato un habitus anche giù per li rami, con lo chef di un posto ben più modesto che di fronte alla mia, fondatissima, critica al risotto mi risponde ‘prendo atto’, e tornando in cucina avrà pensato ‘a tte e mamm’t’. Non va bene, sono un cliente, non ho sempre ragione ma sto mangiando al tuo ristorante, se non ti interessa quello che penso vai a lavorare alle Poste”.