Pescara. “La scultura non è altro che la memoria… È un sogno di pietra, una trasposizione delle emozioni”, disse in occasioni diverse Pietro Cascella indicando cosa cercava di cogliere il suo sguardo sulla realtà. Ma prima di diventare un maestro nel modellare la materia – fosse appunto pietra, ceramica, cemento, bronzo o altri metalli – il maestro pescarese era stato disegnatore e pittore, vicino negli anni Quaranta a un astrattismo e a un uso del colore che guardava ai grandi che lo avevano preceduto, Picasso in particolare.
Alla sua attività degli esordi a Roma è dedicata la bella mostra ‘Pietro Cascella inedito’, allestita fino al 19 marzo a Villa Torlonia a Roma dal Comitato Nazionale per le celebrazioni nel 2021 del centenario della nascita. Nel Casino dei Principi oltre cento opere con molti inediti, provenienti per lo più dal museo che gli ha intitolato la sua città natale, concorrono a descrivere la produzione di due decenni, dal 1938 al 1961. Cascella ebbe subito i suoi riconoscimenti, dimostrati dalla partecipazione alla IV Quadriennale romana nel 1943 e alla Biennale di Venezia nel 1948. Nei primi disegni di soggetto rurale è evidente il legame con la sua terra d’origine.
Nelle tele, invece, sperimenta linguaggi diversi, dall’espressionismo della Crocifissione del 1942 al post cubismo di Donna d’Abruzzo del 1948. Pietro, però, guardava alla Capitale, è qui che volle trasferirsi a tutti i costi, anche contro il volere della famiglia. Dal 1949, dunque, cominciò a lavorare la ceramica e a modellare la terracotta, il peperino dei Castelli Romani e il travertino di Tivoli, il cotto e il travertino di Borromini per le prime sculture, con il fratello Andrea, la moglie Anna Maria Cesarini Sforza e Fabio Rieti, nella fornace di Valle dell’Inferno, a poca distanza dal Vaticano.
“Nel dopoguerra – ricorda il figlio Tommaso, che ha collaborato alla realizzazione della mostra – l’ arte era fatta con quel che c’era ed era ‘Arte povera’ nel senso letterale del termine. Questa ‘povertà’ produceva una ricchezza che oggi ci commuove, perché rimanda alla poesia dei nostri avi etruschi, romanici e di tanta storia dell’arte fondamentale”.
A quell’esperienza si aggiunsero i progetti per i mosaici e, sul finire del decennio, la lavorazione dei metalli, ferro, alluminio e bronzo prima di arrivare finalmente alla pietra e al cemento. In quegli anni vinse, con il fratello e l’architetto Julio Garcia Lafuente, il concorso per il Monumento di Auschwitz, completato nel 1967 dopo dieci anni di lavori, di cui disse che solo il silenzio poteva fare da contraltare alle urla terribili di quella tragedia. Negli anni Cinquanta e all’inizio del decennio successivo l’artista affrontò una serie di opere definite “sabbie”, espressione del clima informale diffuso in quel periodo, assemblando su grandi tele polveri di mattone o di marmo tra le quali affiorano motivi antropomorfici.
Cascella non era scultore di getto che si poneva direttamente davanti alla pietra per darle forma. Il suo era un lavoro certosino che partiva dal modellino in creta e poi in gesso, con una cura approfondita, prima di arrivare al gesto finale. In particolare, fu artefice di opere destinate a spazi e luoghi pubblici perchè amava coinvolgere il pubblico, come ricorda in un filmato la sua seconda moglie, la scultrice svizzera Cordelia von den Steinen. “A me piace la gente – disse l’artista – partecipare alla vita degli altri. La piazza tende a rendere tutti uguali”. Il suo chiodo fisso era comprarsi un castello. Un sogno che realizzò nel 1977 in Lunigiana, andando a vivere e a lavorare nel Castello medievale della Verrucola a Fivizzano, in provincia di Massa Carrara. Pietro Cascella morì il 18 maggio 2008 a Pietrasanta, dove aveva continuato a dare corso ai suoi progetti con la collaborazione di artigiani locali.