Pescara. Mercoledì 11 giugno approderà in Consiglio regionale la cosiddetta legge “Salva Casa”, un disegno che – almeno nelle intenzioni – avrebbe dovuto recepire sul territorio abruzzese le disposizioni del Decreto Legge 69/2024, convertito in legge il 24 maggio 2024, e finalizzate alla sanatoria di alcune difformità edilizie e costruttive.
Tuttavia, le norme effettivamente riconducibili al “Salva Casa” si riducono a soli 3-4 articoli su un totale di 23. Tra questi spicca l’articolo 5, resosi necessario poiché, quattro anni fa, il Consiglio regionale – con un provvedimento definito “taglia leggi” – abrogò erroneamente la L.R. 52/1989, lasciando l’Abruzzo unica Regione italiana priva di una legge sulle variazioni essenziali, ovvero le difformità tra progetto approvato e realizzazione.
Dopo anni di incertezza giuridica per i Comuni, costretti a interpretare caso per caso, la Regione tenta ora di porre rimedio. Ma il testo licenziato dalla Commissione presenta due criticità tipiche dell’operato del centrodestra: è stato profondamente modificato rispetto alla versione originaria e contiene disposizioni che nulla hanno a che fare con la sanatoria edilizia, afferendo piuttosto alla disciplina urbanistica.
Abbiamo già manifestato forti perplessità, condivise anche da Confesercenti (ascoltata solo su nostra sollecitazione), in merito al recupero delle aree industriali dismesse a fini di media distribuzione (fino a 2.500 mq), un intervento che rischia di aggravare ulteriormente la crisi del commercio al dettaglio, colpendo duramente anche il tessuto economico della nostra città.
Ma ci sono due aspetti urbanistici ancora più preoccupanti, che i cittadini di Pescara devono conoscere. Di fronte a queste modifiche, è più corretto parlare di un “distruggi Pescara” anziché di un “salva casa”. La nuova normativa sembra voler rimediare alla sonora bocciatura, prima del TAR e poi del Consiglio di Stato, della delibera comunale n. 20/2023. Tale atto estendeva in modo indiscriminato gli incentivi del Decreto Sviluppo a quasi tutto il territorio cittadino, compresa la zona costiera, in violazione delle prescrizioni contenute nella precedente delibera del 2017. Il risultato? Applicazione estesa senza standard urbanistici, monetizzazioni né pianificazione.
Le sentenze hanno evidenziato come l’aumento del 65% delle volumetrie sia stato applicato senza alcuna logica di riqualificazione urbana, spesso su singoli edifici non abbandonati, come accaduto in via Oberdan. E ora si vuole andare oltre: l’art. 10, comma 1, lett. b introduce la possibilità di applicare il Decreto Sviluppo anche al singolo edificio “degradato”, derogando ad altezze e distanze. Una previsione gravissima, considerata l’assoluta mancanza di una definizione normativa di “degrado”, che lascia campo libero a trattamenti arbitrari tra zone e Comuni.
A questo si aggiunge la cancellazione di ogni riferimento al D.M. 1444/1968, sostituito dal più permissivo art. 2-bis del DPR 380/2001. Il risultato? Nessun vincolo sulle altezze, anche fuori sagoma, né sull’ampliamento delle distanze dagli edifici esistenti.
Quello che intravediamo è un ritorno alla bulimia edilizia, con l’abbandono di qualsiasi pianificazione urbana coerente. Non siamo contrari agli strumenti di rigenerazione urbana previsti dal Decreto Sviluppo, ma contestiamo fermamente l’uso distorto e fuori controllo che se ne è fatto. Ricordiamo che il centrodestra, dal 2019, ha già ampliato gli incentivi volumetrici: dal 20% originario del Decreto, al 50% con la L.R. 49/2012, fino al 65% previsto dalla L.R. 29/2020.
Infine, la norma che più ci allarma: l’estensione degli incentivi volumetrici anche a zone vincolate paesaggisticamente e agli immobili sottoposti a tutela indiretta, come nel caso del rione Pineta a Pescara. Qui, dal 2019, gli interventi devono rispettare rigidamente sagoma, volume e stile originari. Con la nuova legge, si potranno invece demolire e ricostruire con l’incentivo del 65%, previa autorizzazione della Soprintendenza. Una scelta che rischia di distruggere uno dei pochi ambiti urbani ancora integri. Lo stesso ente, ascoltato in Commissione, ha già segnalato il rischio di valanghe di ricorsi che vanificherebbero il vincolo.
Per questo oggi abbiamo convocato questa conferenza stampa con i Consiglieri comunali di Pescara. Perché serve trasparenza, consapevolezza, e soprattutto un’assunzione di responsabilità da parte dell’Amministrazione comunale. Non accetteremo che un domani, di fronte al danno, si tenti di scaricare ogni responsabilità sulla Regione. È il momento della mobilitazione.