Roma. Un nuovo scenario, dai Carabinieri ritenuto il più probabile, all’esito delle indagini compiute negli ultimi due anni. Simonetta Cesaroni uccisa da Mario Vanacore, il figlio del portiere dello stabile di via Poma n. 2, Pietro. Uno scenario che sembra non persuadere la Procura, che intende chiedere l’archiviazione dell’ultima inchiesta sull’omicidio avvenuto il 7 agosto 1990.
Secondo la ricostruzione dei Carabinieri, proprio Pietro Vanacore, morto suicida nel 2010, avrebbe celato il coinvolgimento del figlio.
L’ipotesi dei Carabinieri
Simonetta Cesaroni, 21 anni, lavora come segretaria contabile presso la Reli Sas, uno studio commerciale con sede in zona Casilina. Lo studio è gestito da Ermanno Bizzocchi e Salvatore Volponi. Tra i suoi clienti, l’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù (A.I.A.G.).
Volponi propone a Simonetta di collaborare per un certo periodo proprio con l’A.I.A.G. Collaborazione che decorre dal 19 giugno 1990. Dunque: il lunedì, il mercoledì e il venerdì, dalle 9 alle 12,30 e dalle 16 alle 19,30, la giovane è impegnata presso la Reli Sas. Martedì e giovedì pomeriggio, dalle 15,30 alle 19,30, si reca presso gli uffici A.I.A.G. in via Poma. Dove verrà uccisa con ventinove coltellate.
Come si sarebbero svolti i fatti secondo i Carabinieri? Il Messaggero propone una sintesi del contenuto dell’informativa consegnata ai magistrati.
7 agosto. Simonetta arriva in ufficio tra le 15,40 e le 15,50. Pietro Vanacore, il portiere, non è nel palazzo. Si è recato a fare fisioterapia perché soffre di mal di schiena. Non è lì neanche la moglie, Giuseppa De Luca. Nessuno nota la ragazza entrare nello stabile.
L’informativa: “tra le 17,50 e le 18,15, Mario Vanacore di sua iniziativa, per averlo già fatto in precedenti occasioni”, utilizzando le chiavi del padre, entra negli uffici dell’A.I.A.G. “munito di agenda telefonica per effettuare gratuitamente delle telefonate interurbane.” All’epoca abita a Torino. Quel giorno è a Roma con la moglie e la figlia.
Entra nella sede dell’Associazione e “si trova davanti inaspettatamente Simonetta Cesaroni e a quel punto, intenzionato ad abusare della ragazza sola, verosimilmente sotto minaccia, la costringe ad andare nella stanza del direttore”, dove poi il corpo senza vita della giovane sarà rinvenuto. “Dopo aver chiuso la porta dell’ufficio”, l’uomo “la obbliga a spogliarsi.”
Simonetta prova a ribellarsi. Afferra un tagliacarte. Ferisce l’aggressore. Lui “reagisce, sferrandole un violento colpo al viso che la stordisce e la fa cadere.” E le infligge ventinove coltellate.
I Carabinieri ipotizzano anche i successivi sviluppi. L’uomo esce “dalla stanza aprendo la porta e lasciando il proprio sangue sul lato interno e sulla maniglia”. Raggiunge il telefono e cerca di “contattare il padre e la matrigna al piano seminterrato per avvisarli di quanto accaduto e chiedere aiuto. In tale circostanza sporca quindi anche la tastiera del telefono con il proprio sangue.” Fugge. Si “dimentica l’agenda Lavazza che aveva portato al seguito per telefonare e che verrà poi rinvenuta e prelevata dagli agenti della Polizia di Stato insieme agli oggetti personali di Simonetta Cesaroni.”
Poi – è sempre lo scenario ipotizzato dai militari dell’Arma – il tentativo di insabbiamento. Che coinvolge, secondo l’informativa, Pietro Vanacore. Asportati gli indumenti e alcuni oggetti della vittima, “prelevate le chiavi con il nastrino giallo” in uso ai dipendenti A.I.A.G.
“Nel frattempo Mario Vanacore, spontaneamente o su suggerimento del padre, si allontana dal condominio e si reca in farmacia, perché comunque è rimasto ferito.”
Ancora: “Il tentativo di alterare la scena del crimine, viene interrotto alle 23,20 dell’arrivo in via Poma di Paola Cesaroni.” La sorella di Simonetta giunge in loco insieme al fidanzato Antonello Barone, al datore di lavoro della sorella, Salvatore Volponi, e suo figlio Luca.
Giuseppa De Luca e il figlio di Pietro Vanacore avrebbero fatto trascorrere circa quindici minuti prima di accompagnarli in ufficio. Secondo i Carabinieri, strategia “funzionale a consentire a Pietrino Vanacore di allontanarsi dagli uffici e di salire al quinto piano.”
Tre giorni dopo il rinvenimento della vittima, Pietro Vanacore viene fermato perché sospettato del delitto. Sospetto che non trova conferma. Sia il portiere che sua moglie “forniscono agli inquirenti la menzogna dell’uomo misterioso, asseritamente visto uscire proprio all’ora del delitto e con un involucro in mano, che avrebbe evidentemente dovuto contenere gli oggetti sottratti alla vittima.” Un tentativo, secondo gli investigatori, di allontanare appunto i sospetti da Pietro. La De Luca sostiene anche, nella circostanza, di aver già visto in via Poma Salvatore Volponi, il datore di lavoro di Simonetta. Anche in questo caso – secondo tale interpretazione – mentendo.
In seguito, per il delitto, verrà indagato Federico Valle, nipote dell’architetto che ha progettato lo stabile di via Poma, a sua volta scagionato. Anni dopo, Raniero Busco, con cui Simonetta era fidanzata, verrà accusato dell’omicidio e assolto in via definitiva.
“Solo suggestioni”
La tesi prospettata nell’informativa dei Carabinieri non è condivisa dalla Pm Gianfederica Dito. Il magistrato la ritiene “fondata su una serie di ipotesi e suggestioni che, in assenza di elementi concreti di natura quantomeno indiziaria, non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato.”
Ed è giunta alla determinazione di chiedere l’archiviazione anche dell’ultima inchiesta, nata da un esposto della famiglia Cesaroni. Ora l’ultima parola, conclude Repubblica, spetta al Gip.
Alle accuse replica Mario Vanacore, precisando di aver visto Simonetta Cesaroni “solo da morta”. “Quando è stata uccisa ero con mio padre e la matrigna”, dichiara alla Stampa. “Siamo andati in farmacia e dal tabaccaio. La mia posizione era già stata archiviata.”