L’Aquila. Un’operazione antimafia, diretta e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di L’Aquila e condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo Provinciale di Chieti, è in corso dalle prime luci dell’alba di oggi. In esecuzione 28 ordinanze applicative di misure cautelari di cui 10 in carcere, 9 agli arresti domiciliari e 9 non detentive e interdittive, nei confronti di soggetti calabresi e abruzzesi indagati di associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti, usura ed altro. L’operazione ha interessato varie Provincie dell’Abruzzo, Lombardia, Calabria e Campania. Oltre 100 i militari dell’Arma impiegati e supportati da unità cinofile ed elicotteri. Sequestrati beni per svariati milioni di euro.
Ha permesso di individuare una cellula ‘ndranghetista abruzzese, con a capo Simone Cuppari, 36enne di origini calabresi e da tempo residente sulla costa chietina, a Francavilla al Mare, l’operazione antimafia ribattezzata ‘Design’ condotta dai carabinieri di Chieti che hanno indagato per due anni, e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia de L’Aquila. Sono 19 le persone arrestate, 36 quelle complessivamente indagate e beni sequestrati per 10 milioni di euro. Altre 9 persone sono state raggiunte da provvedimenti di obbligo di dimora o di interdizione ad esercitare attività imprenditoriali o rivestire cariche societarie. Altre 8 infine, sono le persone indagate in stato di libertà. I reati contestati sono associazione per delinquere di stampo mafioso, con l’aggravante di essere associazione armata, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, detenzione illegale di armi da fuoco, estorsione, usura, incendio di esercizio pubblico e di autovettura e intestazione fittizia di beni, con l’aggravante di essersi avvalsi dei metodi mafiosi. Secondo i carabinieri, che hanno tenuto una conferenza stampa con il comandante provinciale, colonnello Luciano Calabrò e il comandante del reparto operativo, tenente colonnello Erminio Sacco, la cellula aveva consolidato un efficiente canale di approvvigionamento di ingenti quantità di cocaina da un gruppo di affiliati alla ‘Ndrangheta in Lombardia, a loro volta riconducibili alle famiglie della ‘Locale di Platì’. La droga proveniente dalla Lombardia, una volta in Abruzzo, finiva sul mercato delle zone di Chieti e Pescara. I proventi dello spaccio venivano reimpiegati nell’acquisizione di attività commerciali nel settore della raccolta di scommesse elettroniche e nella ristorazione, e in episodi di usura a danno di piccoli commercianti e imprenditori locali in difficoltà pretendendo da essi interessi esorbitanti: in un caso a fronte di un prestito di 20.000 euro, la vittima ne aveva doveva restituire, dopo un mese, 40.000 vedendosi costretto, nell’arco di pochi mesi, a pagare oltre 220.000 euro dietro minacce, incendi di negozi e di autovetture. I profitti venivano in parte, reimpiegati in attività imprenditoriali in Calabria, come nel commercio di autoveicoli e nella realizzazione di villaggi turistici di grandi dimensioni. Nel corso dell’operazione sono state sequestrate 4 società fra le province di Chieti, Pescara e in Calabria, che gestivano commercio di auto online e raccolte di scommesse ma anche bar e pizzerie, 8 autoveicoli e 10 chilogrammi di marijuana. Inoltre sono stati sequestrati per equivalente 6 milioni di euro quali quote di una società proprietaria di un villaggio turistico in Calabria.
Continuava a impartire ordini dal carcere dell’Aquila, dov’era detenuto, il boss della ‘ndrangheta Giuseppe Piromalli, 72 anni, indicato dagli inquirenti come uno degli elementi di vertice dell’omonimo clan di Gioa Tauro(Rc), colpito oggi dall’operazione “Povvidenza 2” dei Carabinieri. Le risultanze delle indagini coordinate dalla dda avrebbero evidenziato il ruolo apicale dell’anziano boss, detto “Facciazza”, attualmente detenuto nel carcere del capoluogo abruzzese, e del fratello Antonio di 78 anni, detto “u Catanisi”. I due erano in grado di orientare gli equilibri criminali dell’intero mandamento tirrenico e di condizionare il locale tessuto economico-imprenditoriale, con particolare riferimento ai settori agro-alimentare e turistico-ricettivo, grazie alla complicita’ di imprenditori contigui alla cosca. Giuseppe Piromalli, in particolare, benche’ da anni ristretto in regime detentivo speciale, attraverso i periodici colloqui con i familiari, e facendo leva su un’efficiente rete comunicativa, era in grado di impartire ordini e inviare messaggi funzionali alla direzione degli affari del clan, controllati attraverso il figlio Antonio, fermato il 26 gennaio scorso. Un ruolo carismatico in seno alla cosca era svolto anche dall’ultrasettantenne Antonio Piromalli, defilato sotto il profilo strettamente operativo, ma ancora molto influente nella pianificazione delle strategie criminali dell’organizzazione, soprattutto nel dirimere le controversie sorte tra gli affiliati, anche rispetto a problematiche non prettamente criminali. Proprio all’anziano Antonio Piromalli era demandato il compito di rinsaldare i rapporti con la cosca Mole’, un tempo alleata, attraverso la figura di Michele Mole’, 51 anni, coinvolto nella ripartizione dei proventi derivanti dagli affari criminali legati alla gestione del porto di Gioia Tauro.