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Moti aquilani, Melilla: assalto della sede Pci unico nel dopoguerra

Giuseppe Maritato di Giuseppe Maritato
26 Febbraio 2021
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L’Aquila.”Il 7 marzo 1971 piazza Duomo a L’Aquila era piena di bandiere rosse del PCI e Pietro Ingrao parlava a migliaia di comunisti e cittadini accorsi da tutto l’Abruzzo per rispondere al vile attentato alla democrazia compiuto tra il 26 e il 28 febbraio a L’Aquila con la devastazione delle sedi dei partiti democratici, escluso il MSI, il cui unico consigliere aveva contrastato la ipotesi unitaria del capoluogo regionale a L’Aquila e la suddivisione degli assessorati regionali tra Pescara e L’Aquila”. E’ questo il ricordo di Gianni Melilla, ex parlamentare e presidente emerito del Consiglio Regionale, in merito all’episodio forse più clamoroso della rivolta aquilana, l’assedio e la devastazione della sede del Pci in via Paganica.

Per Melilla “Le forze democratiche dal secondo dopoguerra non avevano mai subito la devastazione della propria sede provinciale. Queste cose succedevano solo negli anni 20 quando i fascisti incendiavano e distruggevano le sedi socialiste, comuniste e sindacali. Il PCI ne fu particolarmente traumatizzato. Bisogna tornare al 1946 quando la sede della federazione del PCI di Napoli venne assediata da fascisti e monarchici che vennero però respinti dai comunisti che risposero al fuoco senza paura. Si racconta che Pajetta, al telefono con un autorevole comunista aquilano che lo informava della devastazione della federazione aquilana, chiese con rabbia : “Quanti morti e quanti feriti?”.

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“Non poteva essere tollerato da chi aveva subito qualche decennio prima il carcere e il confino e che aveva guidato la lotta armata contro i nazi-fascisti, che nel 1971 si potesse assistere al dramma democratico delle sedi dei partiti incendiate. Per questo il PCI decise di reagire subito con la mobilitazione popolare e antifascista. Del resto in Italia in quei mesi lo slogan più gridato nelle manifestazioni dei missini era “L’Aquila, Reggio a Roma sarà peggio”. Naturalmente nella rivolta di Reggio Calabria il ruolo dei missini del “Boia chi molla” era molto più marcato ed eversivo. E anche lì ci volle una grande manifestazione nazionale organizzata dai metalmeccanici, dagli edili e dai braccianti per stroncare la rivolta. In quel caso i fascisti misero addirittura le bombe sui binari dei treni per impedire l’arrivo dei treni dei lavoratori dal nord Italia – insiste Melilla – Ma a L’Aquila le cose andarono per fortuna molto diversamente. La manifestazione del 7 marzo fu imponente e chiuse definitivamente quella breve stagione di violenza politica che aveva visto debordare dal terreno democratico le forze che soffiavano sul fuoco del campanilismo tra Pescara e L’Aquila, tra la costa e la montagna”.

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