Firenze. È delle scorse settimane la notizia del deposito di una istanza di riapertura delle indagini sui delitti del Mostro di Firenze, l’elusivo omicida seriale che, negli anni Settanta e Ottanta, si aggirava per le campagne toscane uccidendo a colpi di Beretta .22 giovani coppie appartate in auto e praticando sulle vittime femminili atroci mutilazioni. Per alcuni degli omicidi, è noto, sono stati condannati in via definitiva i cosiddetti “compagni di merende”, mentre Pietro Pacciani, che l’impianto accusatorio voleva a sua volta coinvolto nei delitti, è morto prima che si celebrasse il giudizio di rinvio in seguito all’annullamento dell’assoluzione in appello, preceduta da una condanna in primo grado.
Lo scenario del “Rosso del Mugello”
Gli artefici di questo nuovo corso sono l’avvocato romano Alessio Tranfa, che assiste il familiare di una delle vittime e, in qualità di consulente, il documentarista Paolo Cochi, uno dei massimi esperti della vicenda. Lo scenario di indagine che si intenderebbe oggi percorrere è quello che i giornali riferiscono al cosiddetto “Rosso del Mugello”, uno sconosciuto avvistato da più di un testimone poco prima degli ultimi due duplici omicidi (29 luglio 1984, vittime: Pia Rontini e Claudio Stefanacci; 7 o 8 settembre 1985, vittime: Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili). Si ipotizza che il soggetto in questione possa essere il medesimo individuo menzionato in una informativa dei Carabinieri redatta a proposito del furto di una Beretta .22 in un’armeria del Mugello, mai recuperata e che – forse – potrebbe essere l’arma impiegata dall’omicida.
Ma, per chiarezza, ripercorriamo alcune vicende registratesi a ridosso dei delitti sopra menzionati, che, secondo questo scenario, potrebbero appunto essere posti in relazione con il medesimo soggetto.
Soggetti misteriosi
1) 29 luglio 1984: nel primo pomeriggio due giovani, verosimilmente Pia Rontini e Claudio Stefanacci, giungono presso il bar di B.B., si siedono a un tavolo e ordinano qualcosa da mangiare. Poco dopo, sopraggiunge uno sconosciuto, che B.B. descrive come un soggetto sui 45-50 anni, alto, robusto, con il viso pieno, lineamenti regolari, molto stempiato, con capelli corti, biondo-rossicci, che rimane a lungo a osservare i due giovani con un’espressione che sembra rabbiosa.
È vestito in modo molto elegante, con un completo beige chiaro, camicia azzurra e cravatta scura. All’anulare della mano sinistra, un vistoso anello, probabilmente con inciso uno stemma o un logo. Quando i ragazzi concludono la consumazione e se ne vanno, l’uomo si alza a sua volta dal suo posto e si allontana repentinamente, come se intendesse seguirli.
Qualche ora dopo, Pia Rontini e Claudio Stefanacci cadranno sotto i colpi del Mostro. La descrizione dello sconosciuto fornita da B.B. permette di realizzarne un identikit. Giorni prima del duplice omicidio, un soggetto con medesimi tratti sarebbe stato visto nel bar in cui lavorava Pia Rontini, richiamando l’attenzione per la sgradevolezza dei modi con cui si rivolgeva alle giovani donne presenti.
2) 16 ottobre 1984: un’informativa dei Carabinieri di Borgo San Lorenzo, recuperata da Paolo Cochi, menziona una Beretta .22 (la stessa tipologia di arma del Mostro) rubata da una locale armeria nel 1965 e mai recuperata e che poteva “essere messa in relazione alle indagini relative alla serie dei duplici omicidi che da anni vengono perpetrati nella provincia di Firenze.”
Possibile possessore della Beretta – e sospetto autore degli omicidi – un uomo allora quarantaseienne, che risulta essere stato denunciato “per reati contro la libertà sessuale”. Secondo l’informativa, costui sarebbe stato sottoposto a perquisizione nel 1966, proprio nell’ambito delle indagini sulla pistola scomparsa e trovato in possesso di armi e munizioni, “nonché di 2 cartucce cal. 22 e 10 bossoli dello stesso calibro.” Il soggetto sarebbe stato poi interrogato e nuovamente perquisito nel 1985 e, da allora, a quanto sembra, non più preso in considerazione come possibile autore dei delitti. Recentemente è emerso che l’uomo sarebbe stato “contiguo con gli ambienti giudiziari” di Firenze, all’epoca delle indagini.
3) Venerdì 6 settembre 1985, ore 18-18,30: nel luogo in cui, uno o due giorni dopo (la data del delitto è controversa) troveranno la morte Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili, G.U. osserva un soggetto alto circa un metro e ottanta, sui quaranta-quarantacinque anni, robusto. Dalla descrizione fornita agli inquirenti verrà realizzato un photo-fit.
4) Giovedì 26 settembre 1985: il Mostro ha già colpito per l’ultima volta e la notizia dell’invio, da parte sua, di un plico contenente un lembo di seno Nadine Mauriot al magistrato Silvia Della Monica verrà diffusa proprio il 26 settembre in una nota Ansa delle 15,27. È quanto appurato dalle ricerche di Paolo Cochi. Lo stesso giorno, però, verso le 13,15, B.N., una diciottenne di Borgo San Lorenzo, chiede un passaggio per tornare a casa da scuola, non potendo valersi dei mezzi pubblici a causa di uno sciopero. Sale su una vettura celeste, forse una Talbot, guidata da un uomo sui cinquant’anni, alto, robusto, molto stempiato, vestito in modo elegante. Mentre accompagna la giovane, questi le parla dell’ultimo delitto del Mostro e – prima che la notizia venga resa di dominio pubblico – sembrerebbe fare appunto riferimento all’invio al magistrato della parte anatomica della vittima.
Chi poteva saperlo, a parte gli inquirenti e lo stesso omicida? La notizia si diffonde. Qualche giorno dopo si presenta alla caserma di Borgo Ognissanti un uomo accompagnato dal suo avvocato. Conferma di aver dato il passaggio alla ragazza e di averle parlato del Mostro, senza alludere alla lettera con il lembo di seno ma, in generale, alle lettere anonime che giungono dopo delitti del genere. Di lui, non si saprà più niente.
La stessa persona?
Dunque, ricapitolando, i fatti qui considerati fanno riferimento ai seguenti soggetti:
1) l’uomo che forse seguiva Pia Rontini e Claudio Stefanacci prima del duplice omicidio del 1984, di cui abbiamo un identikit basato sulla descrizione fornita da B.B.;
2) l’uomo dell’informativa dei Carabinieri sulla Beretta .22 rubata nel 1965 e mai recuperata;
3) l’uomo avvistato nel luogo in cui sarebbe avvenuto il duplice omicidio del 1985, descritto da G.U., di cui abbiamo un photo-fit;
4) l’uomo che ha dato un passaggio a B.N., dimostrando di sapere dettagli relativi al delitto del 1985 prima che la stampa ne desse conto.
Alcuni giornali ritengono di poter dare per scontato che i soggetti in questione siano in realtà la medesima persona, il “Rosso del Mugello” appunto. Allo stato non sembra però possibile affermare oltre ogni dubbio l’esistenza di un simile “fil rouge” a collegare tra loro gli eventi brevemente considerati. Si tratta certamente di un’ipotesi da vagliare e costituisce uno degli aspetti che l’indagine – se mai, come auspichiamo, verrà riaperta – dovrà cercare di chiarire. In questa sede, quindi, non disponendo di tutti gli atti dell’inchiesta di allora, non possiamo che considerare gli elementi fin qui trapelati.
Nel 2021, il photo-fit è stato mostrato a B.B., il testimone di cui al punto 1 (vedi sopra), con questo esito, di cui dà conto un articolo di Ok Mugello!: “Il viso era quello ma più tondo, i capelli erano rasati. Più o meno la persona che vidi io era molto simile a quello dell’identikit che feci nel 1984, ma anche a questo ultimo che mi viene mostrato. Non posso essere più preciso visti gli anni passati.”[1]
Lo stesso photo-fit del 1985 è stato poi sottoposto alla donna che, allora studentessa, aveva chiesto un passaggio allo sconosciuto informato di particolari del duplice omicidio del Mostro non ancora resi noti dalla stampa (vedi punto 4). Questo è quanto da lei dichiarato circa la possibile somiglianza dell’uomo da lei osservato e il photo-fit: “Rispetto a questo photo-fit i lineamenti ed i tratti somatici ricordano quel signore. I capelli erano più corti ed il viso più paffuto. Ma la somiglianza ci sta, il mio ricordo sulla persona è però piuttosto sfumato. Considerando il tempo passato, non posso essere più precisa.”[2] Il passare del tempo – in questo caso, decenni – certo non contribuisce alla precisione del ricordo e, dunque, all’attendibilità del riconoscimento.
Il photo-fit
A proposito del photo-fit in questione, su Facebook chi si interessa del caso dibatte in questi giorni sull’effettivo colore dei capelli del soggetto raffigurato. In effetti sul Web è possibile reperire almeno due riproduzioni dell’immagine realizzata al photo-fit. La prima risulta sufficientemente e uniformemente nitida; la seconda appare sfocata in alcuni punti e particolarmente nitida in altri, come se fosse stata “corretta” tramite un software di elaborazione grafica. In calce al volto ricostruito tramite photo-fit è riportata una breve descrizione dattiloscritta dell’individuo osservato da G.U. (vedi sopra, punto 3). Nella prima riproduzione recuperata in rete, è possibile leggere: “Photo-fit relativo a persona notata nei pressi del luogo del duplice omicidio nella serata del 6/9/1985 verso le ore 18 circa. Alto m. 1,80 – Capelli castani mossi – Viso pieno – Età 40-45 anni.” Nella seconda riproduzione del photo-fit la scritta sottostante non risulta leggibile. In particolare, non è possibile distinguere con chiarezza la parola successiva a “capelli castani”, la cui prima lettera sembrerebbe essere stata coperta o asportata.
Dunque? Dobbiamo concludere che il soggetto raffigurato nel photo-fit non sia dopotutto il Rosso del Mugello? O, ad es., ipotizzare che il testimone lo abbia osservato in condizioni di visibilità non ottimali (la sera verso le ore 18-18,30, non sappiamo da che distanza), non riuscendo quindi a cogliere l’effettivo colore dei capelli?
Al di là delle numerose ipotesi che si confrontano nei dibattiti virtuali, si tratta di un aspetto del caso che, tra i tanti, meriterebbe di essere chiarito. Dunque, un ulteriore motivo per augurarsi che l’istanza di riapertura delle indagini trovi accoglimento.
Comparazioni
Come rimarcato dall’istanza in questione, in tema di verifiche tese a valutare la fondatezza o meno dello scenario del “Rosso del Mugello” vi è il raffronto tra il predetto photo-fit e le fotografie dell’uomo dell’informativa dei Carabinieri (vedi punto 2). Una comparazione del genere è stata già recentemente effettuata con una sua immagine e proposta nel corso di una trasmissione televisiva: l’esito appare certamente meritevole di ulteriori approfondimenti.
Una macchina da scrivere
È di circa due mesi fa la notizia dell’acquisto, da parte del sunnominato Cochi, di una vecchia macchina da scrivere appartenuta all’uomo dell’informativa dei Carabinieri. Per intenderci al soggetto menzionato al n. 2 dell’elenco sopra riportato.
La macchina da scrivere, analizzata dalla grafologa Clarissa Matrella, potrebbe rivelare compatibilità con le tre lettere di minaccia inviate ai magistrati Vigna, Canessa e Fleury subito dopo il duplice omicidio del 1985, che si ritiene provengano dal Mostro. La valutazione è stata effettuata su delle fotocopie delle missive di allora e risulterebbe dunque opportuno ripeterla sui reperti originali.
Sulle buste risulta inoltre presente del Dna che, insieme a quello repertato sulla scena del crimine del 1985, si potrebbe porre a confronto con quello del soggetto sospettato.
“Riaprite gli archivi”
“Riaprite gli archivi, il nome del Mostro di Firenze è nelle carte.” È l’esortazione desumibile da un testo, manoscritto e privo di firma, pervenuto nei giorni scorsi all’Altro Quotidiano e di cui dà conto anche il Fatto Quotidiano.
A quanto scrive il giornale, si tratterebbe della lettera del parente di una delle vittime dell’omicida. “Sono passati ormai tre anni dai ripetuti dinieghi della Procura di Firenze e ancora oggi ci si impedisce di fare indagini, non permettendo di accedere agli atti e ai reperti”, prosegue il testo. “Ci sarebbe una pista molto interessante ma sono restii a percorrerla”, conclude.
“A che serve la revisione?”
In attesa dell’auspicata riapertura delle indagini, ricordiamo che, già nel 2022, è stata annunciata la richiesta di revisione della sentenza di condanna pronunciata nei confronti di Mario Vanni. Nei giorni scorsi, L’Altro Quotidiano ha intervistato in proposito il nipote di Vanni, Paolo. Questi ha dichiarato: “Non ho saputo più niente dall’epoca e non ho contatti con loro [i legali cui ha rilasciato il mandato per l’azione], quindi non so dirle i motivi della richiesta. Posso dire che mio zio era una brava persona e non fu complice dei delitti del mostro. Magari certe frequentazioni l’hanno penalizzato, lui era una persona mite. Riguardo la revisione, non so cosa sia stato fatto dai legali, non ho avuto altri contatti con loro.” “Non ci siamo risentiti e non so cosa è stato fatto e su quali basi”, ha aggiunto. “La richiesta di revisione a che serve poi?”
Non pensa che si dovrebbe trovare il vero colpevole e poi procedere con una eventuale revisione, gli ha chiesto l’intervistatore. “Penso di sì. ma non si troverà. Non penso”, ha concluso Paolo Vanni.
[1] https://www.okmugello.it/articolo/mostro-di-firenze-forse-e-proprio-questa-la-faccia-del-mostro_68226 (consultato il 2 dicembre 2024).
[2] Ibidem.