Firenze. Un’istanza presentata tre giorni fa alla Procura della Repubblica di Firenze, al procuratore Filippo Spiezia e ai sostituti procuratori Ornella Galeotti e Beatrice Giunti, sollecita la riapertura delle indagini sui delitti del Mostro di Firenze, uno dei più complessi e problematici casi giudiziari italiani.
Artefici di questo nuovo corso, l’avvocato Alessio Tranfa del Foro di Roma, che assiste il parente di una delle vittime dell’omicida, che ha chiesto di rimanere anonimo, e Paolo Cochi, reporter e documentarista, tra i maggiori esperti della vicenda. Alla base dell’istanza, gli esiti di una indagine condotta da Cochi su un soggetto misterioso riemerso dalla documentazione relativa al caso.
L’uomo dell’informativa dei Carabinieri
Il 29 luglio 1984, il Mostro di Firenze, l’omicida seriale che terrorizza le campagne intorno al capoluogo toscano, torna a colpire. Questa volta, le sue vittime sono Pia Rontini e Claudio Stefanacci. Li sorprende, come le altre vittime, mentre sono appartati in macchina, in una strada sterrata nei pressi di Vicchio, nella valle del Mugello.
Svuota contro di loro il caricatore di una Beretta .22, che costituisce uno dei tratti distintivi del suo approccio operativo. Poi, pone in essere il consueto, macabro rituale della mutilazione del pube della vittima femminile. Questa volta non si ferma a questo, asporta anche il seno sinistro. E, come di consueto, fa perdere le proprie tracce.
A fronte di numerose piste investigative seguite, gli inquirenti non riescono a dare un nome all’omicida. Un’informativa dei carabinieri di Borgo San Lorenzo datata 16 ottobre 1984 menziona una Beretta .22 rubata da una locale armeria nel 1965, mai recuperata, che potrebbe essere “messa in relazione alle indagini relative alla serie dei duplici omicidi che da anni vengono perpetrati nella provincia di Firenze.”
Possibile possessore della Beretta, un soggetto allora quarantaseienne, che risulta essere stato denunciato “per reati contro la libertà sessuale”. Secondo l’informativa, questi sarebbe stato sottoposto a perquisizione nel 1966, proprio nell’ambito delle indagini sulla pistola scomparsa e trovato in possesso di armi e munizioni, “nonché di 2 cartucce cal. 22 e 10 bossoli dello stesso calibro.” Nuovamente interrogato e perquisito nel giugno 1985 nell’ambito delle indagini sui delitti del Mostro, scomparirà misteriosamente dalla lista dei sospettati.
Il “Rosso del Mugello”
Si riparla di lui nel 2022, quando Paolo Cochi recupera appunto questa pista dimenticata. Si apprende che l’uomo sarebbe stato “contiguo con gli ambienti giudiziari” di Firenze, all’epoca delle indagini. Forse il soggetto in questione è lo sconosciuto che i “mostrologi” definiscono il “Rosso del Mugello”, un individuo che vari testimoni avrebbero visto a ridosso del delitto del 1984 e di cui forniscono descrizioni pressoché del tutto concordanti: si tratterebbe di un soggetto sui 45-50 anni, alto, robusto, con il viso pieno, lineamenti regolari, molto stempiato, con capelli corti, biondo-rossicci. Secondo uno dei testimoni, poche ore prima del delitto, il soggetto avrebbe a lungo osservato, in un bar-tavola calda, i due giovani destinati poi a cadere sotto i colpi della Beretta .22.
Passa poco più di un anno, il Mostro colpisce per l’ultima volta, tra il 7 e l’8 settembre 1985 (la data è controversa). Vittime: Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, giovani turisti francesi. Subito dopo il delitto, l’assassino invia per posta, a Silvia Della Monica, magistrato già impegnato nell’indagine, un frammento di seno della vittima femminile. La notizia dell’invio verrà diffusa solo il 26 settembre in una nota Ansa delle 15,27.
Lo stesso giorno, verso le 13,15, una diciottenne di Borgo San Lorenzo chiede un passaggio per tornare a casa da scuola. Non può utilizzare i mezzi pubblici a causa di uno sciopero. Sale su una vettura celeste, forse una Talbot. La guida un uomo sui cinquant’anni, alto, robusto, molto stempiato, vestito in modo elegante. Durante il tragitto, parla dell’ultimo delitto del Mostro. E – prima che la notizia venga resa di dominio pubblico – sembrerebbe fare appunto riferimento all’invio al magistrato della parte anatomica della vittima. La notizia si diffonde, qualche giorno dopo si presenta alla caserma di Borgo Ognissanti un uomo accompagnato dal suo avvocato. Conferma di aver dato il passaggio alla ragazza e di averle parlato del Mostro, ma senza alludere alla lettera con il lembo di seno ma, in generale, alle lettere anonime che giungono dopo delitti del genere. Di lui, non si saprà più niente.
L’istanza di riapertura delle indagini
Nel tentativo di verificare il coinvolgimento nei delitti del Mostro dell’uomo su cui a suo tempo i Carabinieri avevano svolto indagini, l’istanza presentata dall’avvocato Tranfa, con il supporto del consulente Cochi, formula numerose richieste.
Richiede, in primis, di poter acquisire copie a colori delle fotografie del soggetto (che per comodità chiameremo il sig. Omissis) soprattutto risalenti agli anni Ottanta, che potrebbero risultare utili per una perizia antropometrica di raffronto con un photofit effettuato dopo il duplice omicidio del 1985. Chiede il recupero della documentazione relativa alle impronte papillari rilevate al sig. Omissis, in possesso di varie articolazioni della Pubblica Amministrazione. Ciò, allo scopo di effettuare un confronto con l’impronta rilevata all’esterno della vettura Fiat Panda 30 delle vittime del 1984.
Richiesta inoltre la consegna di copia delle registrazioni di telefonate di minaccia pervenute alla caserma dei Carabinieri di Borgo San Lorenzo la notte del delitto Rontini-Stefanacci (29-30 luglio 1984), nonché della telefonata che, il 23 settembre 1985, uno sconosciuto indirizzò all’utenza telefonica – non pubblica – dott.ssa Silvia Della Monica.
Sollecitata la consegna della documentazione di indagine relativa al passaggio in auto offerto dallo sconosciuto alla studentessa il 26 settembre 1985.
Nell’istanza si chiede altresì l’autorizzazione ad analizzare le tre buste indirizzate, subito dopo l’ultimo duplice omicidio del 1985, ai magistrati impegnati nel caso, Vigna, Canessa e Fleury. Si tratta di plichi comunemente ritenuti provenienti dall’omicida e potrebbe risultare utile esaminarli direttamente, per accertare quanto già prospettato in una relazione tecnica della grafologa Clarissa Matrella circa la possibile riconducibilità del materiale (dalla stessa finora esaminato solo in fotocopia) alla macchina da scrivere del sig. Omissis, che Paolo Cochi ha acquistato da uno dei suoi figli.
La macchina da scrivere in questione, utilizzata dal sig. Omissis, contiene verosimilmente sue tracce genetiche. Che l’istanza di riapertura delle indagini chiede vengano acquisite e poste a confronto con i profili genetici recuperato dalle tre buste inviate verosimilmente dal Mostro ai magistrati nel 1985, nonché con la traccia biologica rinvenuta in una tasca dei pantaloni della vittima maschile del delitto del settembre 1985.
Profili criminologici
L’uomo misterioso è davvero il Mostro di Firenze? Non resta che auspicare l’accoglimento dell’istanza per poter verificare gli elementi in essa dedotti. E anche, in caso di riscontro positivo, per valutare la validità dei profili criminologici dell’omicida stilati dagli esperti nel corso delle indagini e dei processi che ne sono scaturiti.
Nel 1981, lo psicologo Carlo Nocentini aveva ipotizzato che il soggetto fosse affetto da paranoia e uccidesse per punire donne dalla condotta morale da lui ritenuta inaccettabile. Prospettiva interpretativa in seguito ripresa dal criminologo Francesco Bruno, secondo cui l’omicida si sentiva investito della missione di punire le coppie appartate in intimità, spinta che nutriva di suggestioni pseudo-religiose. Lo riteneva preda di una sorta di “delirio del giustiziere” e provvisto di conoscenze anatomiche. Anche per Bruno il soggetto era probabilmente affetto da paranoia ma non necessariamente da perversioni sessuali.
Sul versante interpretativo opposto si collocano il criminologo Francesco De Fazio ed i suoi collaboratori dell’Università di Modena, interpellati dalla Procura di Firenze nel 1984 e nel 1985, nonché i componenti della celebre Unità di Analisi Comportamentale dell’F.B.I., chiamati nel 1989 a fornire a loro volta una valutazione del soggetto. Secondo la prospettiva interpretativa da loro adottata, il Mostro sarebbe stato un assassino per libidine, mosso dunque dall’esigenza di raggiungere, attraverso i suoi delitti, una distorta gratificazione sessuale (in questo quadro, De Fazio ipotizza una possibile iposessualità del soggetto).
Chi scrive propende per la prima interpretazione (omicida seriale missionario, almeno in linea di tendenza) e, sulla scorta di alcuni studi relativi al cosiddetto geographical profling, concorda con chi colloca il punto di ancoramento del Mostro nel Mugello. Da cui sembra provenisse anche l’uomo su cui oggi si richiedono accertamenti.