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Morì giocando a calcio, parla la famiglia del piccolo Marco Calabretta: il defibrillatore andava usato

Redazione Centrale di Redazione Centrale
22 Febbraio 2017
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Pineto. Sulla vicenda dell’imputazione coatta del medico del 118, accusato di omicidio colposo per la morte di Marco Calabretta, il ragazzino di Pineto deceduto mentre giocava a calcio, interviene il legale della famiglia, Giulio Calabretta per alcune precisazioni. In una nota il legale sostiene che nella perizia, sulla scorta della quale la Procura aveva inizialmente chiesto l’ archiviazione del fascicolo, non fosse scritto che anche utilizzando il defibrillatore Marco non si sarebbe salvato. “A prescindere da ciò ­ dichiara il legale ­ il medico del 118 risponde per quello che non ha fatto e cioè per l’assoluta assenza diagnostica rispetto a quella terapeutica. Egli era tenuto a inquadrare il quadro clinico e adottare le cure specifiche. Non lo ha fatto. Il cuore andava defibrillato e non è stato fatto. Nessuno ha mai detto e nessuno può dire che Marco, anche usando il defibrillatore dopo sette minuti, non si sarebbe potuto salvare”. Per la famiglia, e anche per il gip che ha disposto l’ imputazione coatta, firmata nei giorni scorsi dal pm, il defibrillatore andava usato doverosamente al di là del tempo passato tra il momento in cui il ragazzino si è sentito male e i primi soccorsi.

“Il defibrillatore andava usato ­ continua l’avvocato ­ Marco, rammentiamo, è morto dopo tre ore e più e aveva solo nove anni quindi non aveva il fisico di un adulto in età avanzata e ammalato. La questione va vista nel suo complesso unitamente ad altri aspetti non limitandosi solo alla relazione la quale comunque ha previsto una possibilità salvifica del 30 per cento che a modesto parere del sottoscritto non è poco per salvare la vita di una persona e soprattutto di un bambino di 9 anni”.

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