Pescara. Negli ultimi 3 anni il Servizio sanitario nazionale ha perso quasi 21mila medici specialisti.
Dal 2019 al 2021 hanno abbandonato l’ospedale 8.000 camici bianchi per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato e 12.645 per pensionamenti, decessi e invalidità al 100%. Questi i risultati di uno studio realizzato dall’Anaao Assomed, frutto dell’elaborazione dei dati CAT e Onaosi. I dati sono stati presentati dal segretario nazionale del sindacato dei medici dirigenti Anaao Assomed, Carlo Palermo, alla Conferenza Nazionale Fnomceo sulla Questione medica. Anche i medici sono vittime del fenomeno meglio noto con l’espressione Great Resignation, ovvero il significativo aumento delle dimissioni.
Le cause, rileva l’Anaao, sono varie: dal burnout al desiderio di poter avere la possibilità di gestire le giornate di lavoro.
Complice dell’innesco di questo meccanismo è stata poi la pandemia, che ha nettamente peggiorato le condizioni di lavoro negli ospedali. I dati del 2020 e 2021, tratti dal database Onaosi, confermano il persistere di una quota importante di licenziamenti (da 2000 a 3000) che si aggiungono alle uscite per pensionamento: 2886 medici ospedalieri, il 39% in più rispetto al 2020 ha deciso cioè di lasciare la dipendenza del SSN e proseguire altrove. Il quadro che emerge, avverte Palermo, “lascia presagire il progressivo declino della sanità universalistica, per come la conosciamo. Si deve considerare, infatti, che il livello attuale delle uscite dei medici (pensionamenti più dimissioni volontarie) è tale da mettere seriamente in pericolo la tenuta del SSN visto che di fronte ad uscite di circa 7.000 medici specialisti ogni anno, l’attuale capacità formativa è intorno a 6.000 neo specialisti, di cui in base a nostri precedenti studi solo il 65% accetterebbe un contratto di lavoro con il SSN”. Dunque, “per evitare il disastro, è necessario procedere alla rapida stabilizzazione del precariato e serve un cambiamento radicale nella formazione post-laurea. Occorre, in pratica, anticipare l’incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro. La soluzione – conclude Palermo – consiste nella trasformazione dell’attuale contratto di formazione in un contratto a tempo determinato di formazione/lavoro con oneri previdenziali e accessori a carico delle Regioni e nel conseguente inserimento dei giovani medici nella rete ospedaliera regionale.