L’Aquila. Quante volte, ogni giorno, le parole “rifugiati” e “accoglienza” rimbombano nelle nostre teste? Ormai sappiamo tutto sull’argomento. E’ davvero così? In realtà, soprattutto per quanto riguarda il tema “accoglienza”, aleggia molto fumo. L’utilizzo meccanico del termine “migrante”, poi, rischia di spersonalizzare l’immagine di quelle che sono persone, con storie quasi sempre disperate. E’ per questo che io e Adriano siamo andati a Castel del Monte, al centro Sprar gestito dall’associazione ARCI, dove abbiamo incontrato l’assistente sociale Valentina e Fabrizio, e loro, i tredici ospiti dell’appartamento. Abbiamo deciso di raccogliere alcune delle loro storie, dalle montagne afghane al deserto libico, che vi racconteremo prossimamente su questo giornale. Nel frattempo incontriamo il responsabile territoriale dell’ARCI Andrea Salomone, con il quale cerchiamo di fare un po’ di chiarezza. Il sistema italiano di accoglienza prevede due canali, non comunicanti tra loro ma facenti capo allo stesso Ministero, il CAS (Centro d’Accoglienza Speciale) e lo SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Una volta oltrepassato il confine, i migranti vengono sottoposti ad un primo screening sanitario, per poi essere smistati nei centri di prima accoglienza (CAS). Come ci spiega Andrea, questi ultimi vengono assegnati con bando prefettizio a strutture con requisiti minimi e con un controllo delle competenze insufficienti. Si tratta di un’accoglienza spesso grossolana e disorganizzata. Gli SPRAR sono invece progetti più evoluti e approfonditi, che mirano al conseguimento dell’autonomia dell’individuo e al suo inserimento nel mondo del lavoro. Il loro punto di forza è la partecipazione attiva degli enti locali: il comune presenta il progetto e le varie realtà sul territorio collaborano per l’erogazione dei servizi. Gli ospiti di Castel del Monte mangiano alla mensa della casa di riposo del paese, studiano la lingua e la cultura italiana, partecipano, grazie a una convenzione con la Provincia, a tirocini formativi di tre mesi, fanno corsi sulla sicurezza e sul primo soccorso e si esercitano in simulazioni di colloqui di lavoro. C’è chi, come l’afghano Ashuk, si sta formando da idraulico, ma ci sono anche corsi da meccanico, da elettricista e da muratore. C’è anche chi, come Issouf e Sylvester, ha partecipato ai laboratori di teatro che pure sono inclusi nel progetto, insieme ad escursioni, partite di calcio e alle varie attività ludiche fatte “semplicemente per stare insieme”. Il progetto si svolge in sei mesi, salvo complicazioni giuridiche per l’ottenimento del permesso di soggiorno; in quel caso l’ospite avrà assistenza legale. Ognuno riceve giornalmente due euro e cinquanta centesimi. Nota a margine: l’assistenza sanitaria. Lo SPRAR si occupa di tutte le spese, garantendo le visite di operatori sanitari qualificati e rivolgendosi, in casi delicati, anche a cliniche private. In alcune occasioni, ricorda Andrea, sono stati necessari dei ricoveri: a Lecco un intervento alla tibia, a Teramo un intervento al cuore ed anche un caso di tubercolosi. Ma tiene a precisare che si tratta di situazioni controllatissime. In Abruzzo esistono una ventina di CAS e 2 Sprar, una proporzione che conferma la situazione nazionale. I primi, che dovrebbero essere centri speciali di accoglienza, divengono spesso definitivi; il problema è che il loro costo, a fronte di una forte disparità dei servizi offerti, è identico a quello degli SPRAR, e i migranti accolti nei centri di seconda accoglienza sono solo il 20%. A ciò si aggiunge il disinteresse per una distribuzione proporzionata al numero di abitanti: è così che Pizzoli si trova ad accogliere lo stesso numero di migranti di Avezzano. Quello di Castel del Monte era nato come centro emergenziale, poi convertito in SPRAR; il paese, a partire dall’amministrazione, si è dimostrato aperto al nuovo, prendendo in mano la sfida dell’accoglienza. Prima i ragazzi svolgevano tutte le attività in spazi messi a disposizione dal Comune, oggi godono di maggiore possibilità di movimento. “Qui si lavora insieme”, ci dice Andrea, “diritti e doveri vanno di pari passo”. Già, la collaborazione quotidiana tra assistenti ed assistiti è la formula vincente, l’autonomia e la tutela dell’individuo l’obiettivo. “Noi
offriamo possibilità numerose, sta a loro decidere se sfruttarle o meno. Ci sono tante difficoltà in Italia, non facciamo che ripeterglielo, per spronarli a darsi da fare”. Il progetto nacque nel 2010 e tra i quattrocento presentati arrivò tra i primi venti. Gli ospiti del centro, nella gratitudine per il faticoso lavoro di Andrea e degli altri collaboratori, sembrano confermare questo dato. “La cosa più bella è lavorare con una così grande ricchezza di persone”, dice entusiasta Andrea, che fino ad ora, con i colleghi, ha dedicato il suo lavoro a persone venute dal Mali, dall’Afghanistan, dalla Nigeria, dal Gambia, dal Pakistan e da tanti paesi lontani tra loro per storia e tradizioni. Coloro che hanno concluso con successo il loro percorso, lo vanno a trovare, lo aggiornano sulla loro vita, lo ringraziano di tutto. Qualcuno continua a chiamarlo persino dall’Islanda. Non mancano le tensioni, i problemi, all’interno del centro. La convivenza forzata di persone con culture tanto lontane non è sempre rosea. Qualcuno poi, dopo il tanto dolore, può avere bisogno di un aiuto psicologico. Non è facile, ci confida Andrea Salomone, ma è un bellissimo lavoro. Diego Renzi e Adriano Sabatini