Tortoreto. Un sogno trasformato in un incubo. Era andato in Thailandia per aprire il suo ristorante Ciao Bella sull’isola di Phi Phi. Nel marzo 2011 il suo socio, Luciano Bucci, anche lui ristoratore e albergatore di 60 anni di Montevarchi (Arezzo), viene trovato morto. Per l’omicidio Denis Cavatassi viene arrestato insieme ad altri tre thailandesi, accusato di aver commissionato l’assassinio del toscano dietro il pagamento di 150 mila baht (circa 4mila euro).
Arriva la condanna e una pena capitale. È la storia di Denis Cavatassi, l’ex imprenditore di Tortoreto che, trasferito in Thailandia per gestire alcune attività nel settore turistico, è stato condannato a morte in secondo grado per l’uccisione del suo socio in affari.
Molte le iniziative di solidarietà degli abruzzesi che si stanno muovendo a sostegno del corregionale, Sulla vicenda è intervenuta anche la senatrice Dem Stefania Pezzopane che ha chiesto un impegno concreto da parte del governo.
“Il governo sostenga la famiglia dell’italiano detenuto. E’ di Tortoreto ed è ingiustamente condannato a morte.
Quali iniziative il governo intende assumere per garantire il pieno sostegno alla fase di ricorso avviata dalla famiglia di Denis Cavatassi, detenuto in Thailandia nel carcere di massima sicurezza di Nakkon Si Tammarat?”. E’ la domanda che ha posto la Pezzopane in un’interrogazione al ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale
Il cittadino italiano residente a Tortoreto, Denis Cavatassi gestiva in Thailandia un ristorante sull’ isola di Phi Phi. Nel 2011 il suo socio in affari, Luciano Butti, anche lui ristoratore di 60 anni originario della provincia di Arezzo, viene trovato morto.
Cavatassi è accusato di aver commissionato l’omicidio dietro il pagamento di 150 mila baht, circa 4.000 euro, e viene arrestato insieme ad altri tre thailandesi. La sorella di Cavatassi ha dichiarato che, inizialmente rilasciato su cauzione, Denis decise di non rientrare in Italia, convinto che sarebbe stato assolto perché innocente, ma invece è stato dichiarato colpevole da due gradi di giudizio, condannato a morte ed è tuttora in carcere.
Le prove raccolte contro di lui dimostrano l’infondatezza dell’accusa a sostenerlo sono la famiglia e i loro legali: parrebbe, infatti, che l’imputato vantasse un credito di 150 mila euro da Butti, e che in quei giorni avesse fatto un bonifico di 4.000 euro al cameriere arrestato quale presunto compenso per il delitto, ma nella realtà dei fatti supportati dalla documentazione raccolta è stato accertato che non c’era nessun credito, e che al cameriere erano stati accreditati con due bonifici solo il suo salario e un piccolo anticipo chiesto per un problema familiare, in tutto 700 euro. Per questo la famiglia ha depositato un ricorso alla Corte Suprema.
Preoccupano le condizioni di estrema durezza di detenzione di Catavassi, dato il terribile sovraffollamento in cui versano le strutture penitenziarie thailandesi. Chiediamo perciò al governo di impegnarsi a sostenere i familiari del nostro concittadino