Pescara. Rinviati a giudizio i cinque collezionisti che acquistarono sul web le lettere di Gabriele D’Annunzio trafugate nei sotterranei della Biblioteca nazionale centrale di Castro Pretorio a Roma. Come riporta Il Messaggero la pm Laura Condemi, titolare dell’inchiesta, ha firmato una richiesta di rinvio a giudizio e a breve ci sarà l’udienza preliminare. Gli indagati sono accusati di ricettazione, poiché secondo la Procura avrebbero acquistato le lettere del Vate consapevoli di stare infrangendo la legge. Il furto delle 36 lettere del poeta abruzzese risale a quattro anni fa ed è ancora avvolto nel mistero, in quanto bisogna accertare se gli indagati siano stati anche gli autori del colpo e se siano stati aiutati da uno o più basisti. Due lettere furono messe all’asta, con tanto di foto e didascalie dettagliate, su internet e valutate fino a 3 mila euro. In pochi giorni la quotazione di uno scritto del 1927 aveva già raggiunto 700 euro di offerta.
Ad accorgersi degli annunci fu il direttore della biblioteca che con una segnalazione fece scattare l’indagine. Dall’inchiesta è emerso anche altro. Uno dei collezionisti, ad esempio, non aveva messo le mani solo sulle lettere del Vate, ma era riuscito a procurarsi anche documenti trafugati dall’Archivio centrale dello Stato e una lettera rubata dall’archivio di Trento, ed è a casa sua che le lettere di D’Annunzio furono ritrovate. L’uomo sarebbe stato il primo ad acquistare e rivendere uno dei carteggi dannunziani, nel giugno 2012. Quando i carabinieri del comando Tutela patrimonio artistico l’avevano identificato e rintracciato, si erano presentati a casa sua per una perquisizione trovando anche altri documenti scomparsi: quarantuno buste contenenti scritti di D’Annunzio e di Silvio Pellico, patriota poeta ottocentesco, due lettere manoscritte provenienti dalla gendarmeria pontificia. L’uomo è stato accusato anche di detenzione illegale di armi. I militari, rovistando in casa, avevano infatti scoperto una collezione di pugnali antichi e due spade forgiate nel XIX secolo. L’indagato custodiva addirittura un moschetto modello Balilla, marcato “Graziani Verona”, costruito nel 1941 e mai dichiarato.