
Nel settecentenario (1321-2021) della morte di Dante Alighieri s’intreccia l’“Avventura” del grande scrittore abruzzese Ignazio Silone che per primo, da laico, riscoprì i valori universali di Papa Celestino V e della Perdonanza Celestiniana. Una manifestazione fresca, oggi, del riconoscimento Unesco quale “Patrimonio Immateriale dell’Umanità”.
Un riconoscimento, dopo tante traversie e qualche mortificazione di troppo legate all’imbarazzo che nei secoli (fino a Papa Benedetto XVI) hanno suscitato nella Chiesa le dimissioni di Papa Celestino V, che impone all’attenzione del mondo questa tradizione settecentenaria dell’Aquila, figlia del messaggio universale (cristiano, ma non solo) di quel “Ghandi del Duecento”, di quel Martin Luther King dei suoi tempi, di quel “Crociato della Pace”, di quel “povero cristiano” che è l’Eremita del Morrone.
Ebbene, una festa laica (sembra paradossale ma è così: l’Unesco, essendo organismo multireligioso, non avrebbe mai dato tale riconoscimento al Perdono cristiano) che ha due “padri”. E tra i più nobili. Appunto, Dante Alighieri e Ignazio Silone.
Dante, per aver creato il “mito” di Celestino con quel benedetto-maledetto verso del Terzo Canto dell’Inferno sul “gran rifiuto”.
Silone, per aver rilanciato il “culto laico” di Celestino V facendone un eroe (altro che vile!), in quell’effervescente inizio della seconda metà del Novecento, concludendo, con la sua “Avventura di un povero cristiano”, una felicissima, irripetibile, unica, parabola di scrittore con uno strepitoso, seppure effimero, successo nella rappresentazione teatrale messa in scena dall’allora nascente Teatro Stabile dell’Aquila con un esordiente Giancarlo Giannini nella parte dell’anziano pontefice rivoluzionario
Al netto delle suggestive leggende (in primis, che Dante abbia partecipato all’incoronazione dell’Eremita del Morrone all’Aquila nel 1294 e che Celestino V sia stato assassinato per ordine del suo successore Bonifacio VIII) questa duplice paternità, nobile e laica, emerge prepotentemente dagli appassionati studi del giornalista e scrittore Angelo De Nicola (sulla “Perdonanza moderna” rinata nel 1983 e sul “mito” di San Pietro l’Eremita) per il quale, sempre in senso laico, la Festa del Perdono è identità civica e quel “Povero cristiano” è un faro morale.
Una tesi ardita e ambiziosa che il libro (impreziosito dalle prefazioni di Liliana Biondi, Antonio Gasbarrini e Diocleziano Giardini e da copertina e dodici tavole dell’artista Sandro Arduini) è chiamato a puntellare.
Una tesi offerta a una città, L’Aquila, che, a dispetto di questa maledetta emergenza Covid (che speriamo passi in fretta), sta cercando di mettere a profitto una ricostruzione post sisma 2009 faticosa ma densa di speranze.
Con due “padri” simili, ora è la prole che deve dimostrarsi capace di essere all’altezza.