L’Aquila. Sono passati sei anni da quel maledetto 6 aprile 2009, da quelle 3:32 che hanno cambiato per sempre la storia della città. Numerose scosse di assestamento si sono verificate nei mesi precedenti, ma nessuno e ripeto nessuno poteva immaginarsi una catastrofe di questo tipo, dove oltre ad aver perso una bellissima città, che non potrà mai riavere la sua bellezza, abbiamo perso 309 persone, soprattutto studenti fuori sede che stavano costruendo sotto le pendici del Gran Sasso il loro futuro. L’Aquila, a distanza di sei anni dal terremoto è ancora la città dalle ali spezzate, ali che difficilmente si aggiusteranno e come ha detto il senatore della Repubblica Italiana Antonio Razzi al Vinitaly: “è dalla caduta del Governo Berlusconi IV che il capoluogo abruzzese è stato abbandonato al suo triste destino”, un destino che secondo i residenti non potrà essere cambiato. Per noi abruzzesi la città dell’Aquila era casa, era quel posto dove in momenti di stress andavamo a rifugiarci, magari abbuffandoci di maccheroni alla chitarra e di Mortadella di Campotosto tra i ristoranti limitrofi alle 99 cannelle e i banchi del mercato di Piazza Duomo. Andare all’Aquila significava immergersi in una cultura che andava dal romanico al borbonico, passando anche per il preistorico, data la presenza di uno scheletro di mammut al museo del Forte Spagnolo, costruito durante il periodo di Carlo V ( prima metà del cinquecento), che divenne inaspettatamente sovrano di mezz’ Europa, di cui lo stemma è raffigurato sul portale d’ingresso. Passare ora su Corso Vittorio, significa vedere militari e pompieri controllare le cosiddette zone rosse e l’unico esercizio rimasto aperto, il bar del corso, preparare caffè per loro. Una fiaccolata si è tenuta domenica notte lungo i luoghi del sisma ma la domanda che mi pongo io e che si pongono in molti è: riusciremo a rialzarci in piedi e rivivere questa città come allora? Tra una visita a Collemaggio, una messa a San Bernardino e una passeggiata sotto i portici che dalla Fontana Luminosa portano fino alla Villa Comunale? Questo è quello che gli aquilani vorrebbero, riavere la loro città, la loro casa, un luogo dove poter andare non da dove dover scappare. Fabrizio Tosi