Chieti. Coraggiosa e schietta come il suo vino, sembra proprio che Valentina Di Camillo, proprietaria della Tenuta I Fauri, abbia saputo interpretare il grido silenzioso della sua terra. La incontro per due chiacchiere informali sul Trabocco Punta Cavalluccio mentre ci sediamo nel salottino esterno proteso sul mare, prima di tornare al pantagruelico pranzo di pesce. Ad accompagnarci lo sciabordare di un Adriatico apparentemente calmo in una domenica soleggiata. Di fronte ai nostri occhi le colline teatine. Ed è subito Abruzzo, un Abruzzo che vuole dire la sua. E la realtà enoica della Tenuta I Fauri ne è l’esaltazione perfetta.
- Quale è l’Abruzzo racchiuso nel vostro vino?
Sento di avere il grande dovere di raccontare un po’ tutto l’Abruzzo. Le colline teatine sono inserite nel contesto di montagna, abbiamo alle spalle questa Majella che ci ricorda il lato più presente e massiccio, forse il più conosciuto, ma se dai miei vigneti guardo l’altra parte vivo il Mar Adriatico. La nostra realtà, con 35 ettari di appezzamenti, è una realtà contadina che cerca di raccontare mare e monti.
- In cosa consiste la vostra particolare lavorazione in cemento?
Quello che noi abbiamo fatto negli anni è aver mantenuto una forte identità e a mente chi siamo e da dove arriviamo conservandolo con orgoglio e a volte con fatica. Oggi è più facile dire “siamo contadini”. C’è stata una riscoperta per tutto ciò che appartiene alla terra. La nostra azienda ha sempre fatto della tradizione uno strumento di esaltazione della terra e dei suoi prodotti. Il cemento nel Montepulciano è qualcosa con cui noi abbiamo esperienza; in passato non si pensava a spendere le poche risorse economiche a disposizione nelle barrique e quindi si cercava di fare un ottimo prodotto con quello che si aveva e il cemento era un po’ il contenitore per eccellenza delle piccole cantine di famiglia. Puzzava di povertà ma negli anni questo atteggiamento è cambiato anche nell’ottica di voler valorizzare quello che di più tipico abbiamo. Il cemento è tornato di moda, in questo momento fa tendenza. Se oggi usi cemento vuol dire che sei un vignaiolo che rispetta e interpreta a pieno quelle che sono le caratteristiche di un territorio. Con il nostro Ottobre Rosso, un Montepulciano fatto in cemento, abbiamo portato avanti una tradizione che anche mio nonno coltivava. Un Montepulciano non destinato a nobilitarsi con un invecchiamento in legno, in qualcosa di elitario che profumava di Francia, ma che rimaneva con i piedi per terra. È un elemento di follia che racchiude l’essenza di una regione, quella di non essere governata sempre da un saper comportarsi. Il bello di fare il vino è anche quello di interpretare e di ricordarsi negli anni l’andamento di come abbiamo vissuto le diverse stagioni.
- Quando il vino è una questione di famiglia… quale è stato il momento in cui ha capito che avrebbe raccolto l’eredità della sua famiglia e sarebbe diventata il suo lavoro?
Dopo il liceo, scelgo gli studi di Chimica e Tecnologia Farmaceutica all’Università d’Annunzio di Chieti e nel 2004 arriva la laurea con una tesi nel Dipartimento di Scienze del Farmaco. L’obiettivo fino a quel momento è diventare ricercatrice per l’industria farmaceutica. Pane, scienza, matematica e musica classica riempiono le mie giornate di ventenne impacciata e introversa. Al via con i colloqui, uno dopo l’altro. Un sì arriva dall’azienda Fournier. Ma il mio sorriso all’improvviso e un timido “grazie ma non posso” ad un direttore delle Risorse Umane, bastano a rimettere tutto in discussione. Solo in quel momento realizzo che il cammino da seguire è un altro: dopo anni nei laboratori all’Università tra provette, colture di agar agar e camici bianchi, il mestiere di famiglia bussa alla porta. Ricomincio gli studi di Enologia e Viticoltura presso la facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Teramo e nel 2007 mi laureo con una tesi sulla condizione socio-economica delle aziende vitivinicole abruzzesi (dopo aver girovagato per mesi in lungo e largo l’Abruzzo del vino).
- La vendemmia è forse il vero momento di contatto con la terra, una storia di fatiche, sudore e di emozioni. Al tempo stesso però comporta rischi se si rispettano e si seguono i ritmi della natura. Come affronta e interviene la vostra azienda?
La nostra azienda, come tutte le altre, non può che interpretare la natura e le sue stagioni. Ogni annata è diversa dall’altra e si prende il meglio da ciò che ne viene. È un patto per la vita, che esige rispetto e dedizione e tenendo bene a mente che a comandare rimane sempre lei, la natura.
- Sull’etichettatura del vostro vino si legge Baldovino. Cosa indica?
È il nomignolo della mia famiglia. Ogni famiglia ne aveva uno, poteva essere una caratteristica, un difetto, un modo di fare. Noi siamo stati associati a un personaggio, il bisnonno del mio papà, fortemente carismatico; la mia famiglia viene conosciuta come “quelli di Baldovino” e abbiamo dedicato a questo soprannome, che è stata un po’ la strada di tutti noi figli, la linea classica.
- Sull’ultimo numero di Cucina & Vini Rivista compare il vostro Baldovino 2015 tra i Montepulciano d’Abruzzo come un acquisto interessante. Perché un wine lover dovrebbe scegliere questo vino?
Un amante del vino è una persona curiosa e che si appassiona di un territorio attraverso i vini che beve. Il Baldovino è un Montepulciano schietto e sincero, senza retoriche, senza sovrastrutture, capace di raccontarne la provenienza e di esaltarne la tipicità.
- Pensa che le attuali strategie di marketing danneggino l’economia enoica della nostra terra a volte considerata Sud e quindi non sempre in grado di essere al passo con i tempi?
Il Sud! Il Sud è sole, è gioia di vivere, il Sud è vento, è passione, è allegria, è rusticità, è mangiare e bere bene. Basterebbe raccontare questo per vivere di rendita e contagiare chiunque.
- Il vino è donna. Quali sono le qualità femminili per emergere in questo settore e rivelarsi vincenti nel promuovere il vino?
Il vino è vino. E le donne e gli uomini ne sono assieme gli artefici e gli interpreti. E’ vero anche però che il mondo del vino ha ancora un’impronta fortemente maschile nonostante la presenza femminile non sia più una novità. Le donne del vino sono donne coraggiose, molto determinate, organizzate e caparbie.
- Lei stessa è membro dell’associazione “Le donne nel vino – Abruzzo”. Pensa che l’universo femminile in questo momento può regalare nuovi stimoli all’Abruzzo?
L’Abruzzo ha bisogno di grandi personalità, grandi storie di coraggio e di esempio per raccontare un territorio così variegato. Il contributo delle donne del vino va ricercato nella loro forza comunicativa fresca ed efficace e nel loro linguaggio semplice ed immediato.
- Quale tra i suoi vini è quello che meglio la rappresenta?
In questi ultimi anni il nostro Cerasuolo d’Abruzzo sta finalmente facendo parlare di sé. Amo il Cerasuolo e amo le tante interpretazioni che i produttori abruzzesi ne danno. Amo di meno il clichè del vino rosato come vino delle donne. Perché in fondo il Cerasuolo è molto di più: è la sintesi perfetta tra l’Adriatico e la Maiella, tra il dolce e l’amaro, tra la potenza di una grande uva rossa, il Montepulciano, e la freschezza di un vino bianco.
- Ad aprile torna Vinitaly. Parteciperete? Quale saranno le vostre proposte?
Vinitaly è e rimane una delle vetrine più importanti per l’enologia italiana. Un momento di scambio e di confronto importanti. Quest’anno saranno di nuovo le anteprime (la vendemmia 2016) ad essere assaggiate insieme a clienti e amici vignaioli.
- Quali pensi sia il futuro dei vini abruzzesi?
È il momento di mettere a disposizione di tutti un patrimonio prezioso che le generazioni hanno conservato gelosamente senza metterlo alla mercè di tutti. Il vino è il prodotto che più facilmente arriva sulle tavole di tutti i consumatori del mondo. Mi auguro che non ci siano più distanze nella vendita e che il vino d’Abruzzo e in Abruzzo possa essere veicolo di attrazione, partire da un’etichetta in cui c’è scritto Abruzzo per capire dove è e quale è il suo valore aggiunto.
@baldaroberta